Viaggiando per l’Italia non è certo inusuale imbattersi in prodotti tipici la cui produzione non solo è limitata, ma è stata negli anni oggetto di riscoperta e salvaguardia. Ortaggi, frutti, legumi tutte realtà che un tempo, diciamo fino agli anni 50/60 del secolo scorso erano motivo di reddito e sostentamento per le popolazioni dei territori di provenienza.
Poi l’avvento e lo sviluppo industriale fu indiscutibilmente complice dello spopolamento delle aree rurali e il confine con la perdita di queste produzioni agricole si assottigliò fino a diventare quasi impercettibile. Le industrie, specialmente delle città del nord Italia, ma anche i cambiamenti dei sistemi di coltivazione, l’arrivo sui territori di prodotti da altre regioni ad un prezzo più conveniente e la modernità che avanzava implacabile con i suoi risvolti positivi e al contempo negativi. Tutti elementi basilari per la perdita di tanti frutti.
E’ stato soltanto grazie agli anziani dei piccoli paesi, dei borghi che hanno continuato, più per passione e rispetto delle tradizioni che per motivi economici, a portare avanti in piccoli appezzamenti le loro coltivazioni che oggi molte varietà sono state recuperate salvate. Persone che hanno conservato gelosamente semi e piante.
L’ultimo di questi prodotti particolari in ordine cronologico che ho incontrato sul mio cammino di lavoro è stato il Peperone di Capriglio. Capriglio è una piccola località in provincia di Asti, in zona è famosa per avere dato i natali a “Mamma Margherita” ovvero la mamma di Don Bosco, e il Peperone è piccino e si contraddistingue per la sua deliziosa forma simile ad un piccolo cuore.
E’ piccolo, vero, ma può arrivare a pesare anche 150 grammi a conferma che è un ortaggio carnoso, dalla pelle sottile e facilmente digeribile. I semi sono stati recuperati proprio dagli anziani del posto e oggi si sono affacciati alla sua produzione alcuni giovani.
Non tanti per la verità, meno di 10, ma indubbiamente dalla valenza fondamentale per la conservazione e la tutela del piccolo cuore. Un segno positivo che magari nel tempo si potrà tradurre in stimolo per altri che vorranno cimentarsi in questa tipologia di coltivazione.
Da 10 anni il Peperone di Capriglio è un Presidio Slow Food e in cucina si presta come ingrediente ottimale per svariate ricette. Ideale per essere ripieno, grazie alla carnosità e alla forma, magari con la carne, come si usa qui nell’astigiano, ma anche di riso erbe e formaggio, oppure arricchito con dei misti di verdure dell’orto sullo stile delle caponatine.
Si presta molto bene anche alla conservazione in barattolo con olio aglio e timo.
Nei mesi freddi si selezionano i semi che daranno le piantine. Le stesse piantine vengono messe a dimora nel mese di maggio e alla fine di agosto si inizia con la raccolta. Stiamo parlando di una varietà tardiva motivo per cui in alcune annate la raccolta si protrae fino a metà novembre.
La produzione totale è molto limitata e varia dai 20 ai 30 quintali annui. Il mercato si basa principalmente sui privati della zona e sui ristoranti ma anche il Peperone di Capriglio un tempo raggiungeva mercati importanti come quelli delle grandi città. Spesso veniva coltivato sugli stessi terreni su cui cresceva il grano e questa rotazione era benessere per i contadini e per la terra stessa.
Oggi è tutto diverso ma il sapore del Peperone è alquanto interessante, il suo aspetto e i vispi colori giallo e rosso lo rendono bello alla vista e buono al palato. Tagliato a pezzi e intinto nell’olio e sale, magari accompagnato da un acciuga, è il degno antipasto delle tradizioni campagnole piemontesi, il classico pinzimonio che apre la danza dei desideri dello stomaco stuzzicando la fame.
Un incontro piacevole e saporito, un abbraccio affettuoso ad un prodotto della terra che per fortuna non abbiamo perso e che, con tutto il cuore, spero di ritrovare presto con altri giovani indaffarati per la sua coltivazione e produzione.
Un piccolo grande “Cuore” che con la sua bontà mi ha incuriosito: quella bontà che “Mamma Margherita” ha predicato e regalato per tutta la vita.