L’azienda nel cuore del Chianti classico con i suoi rossi di qualità ha salvato il conto economico e anche i dipendenti della parte agrituristica, trasformati in vignaioli con appositi corsi di formazione
Aver puntato sul biologico, già dieci anni fa, ha salvato anche in tempi di Covid il conto economico dei vini di Castello La Leccia, a Castellina in Chianti e quindi nel cuore del Chianti classico, un angolo di paradiso con 170 ettari tra boschi secolari di lecci, vigneti, oliveti e lo splendido castello che ospita un agriturismo top quality.
“Mentre l’attività agrituristica nell’anno del Covid ha proprio sofferto – racconta a Gustoh24 il general manager Guido Orzalesi in conferenza on line – e siamo arrivati a perdere mezzo milione di euro di fatturato, sul vino è stata un’altra storia. Infatti le nostre vendite all’estero non ne hanno risentito e ci siamo anche impegnati sul mercato italiano trovando un distributore che prima ci mancava, totalizzando dunque un dieci per cento di vendite in più”.
Probabilmente i vini dell’azienda Castello La Leccia, tutti a denominazione (il “Vivaio del Cavaliere”(Toscana IGT), il Chianti Classico DOCG, il Chianti Classico Riserva DOCG e “Bruciagna”, il Chianti Classico Gran Selezione DOCG), si sono anche giovati di avere dalla loro parte un rapporto qualità/prezzo veramente interessante; sta di fatto che in tempi di Covid hanno continuato il loro percorso di crescita e affermazione sul mercato, accelerato dall’arrivo in azienda nell’estate 2019 di Orzalesi che ha una lunga esperienza di management vinicolo, e hanno bilanciato le perdite dell’agriturismo. La bellissima struttura di accoglienza con ristorante e piscina panoramica lo scorso anno, in pratica, era riuscita a lavorare solo dai primi di luglio fino alla fine settembre, poi di nuovo lo stop con la seconda ondata dell’emergenza Covid.
Non solo, il lavoro in vigna è stato anche il modo per continuare a offrire occupazione al personale stagionale impegnato nell’agriturismo che altrimenti sarebbe dovuto andare a casa.
“D’accordo con il proprietario (l’imprenditore svizzero Rolf Sonderegger, ndr) – racconta Orzalesi – abbiamo proposto al personale stagionale, per il quale tra l’altro lo scorso anno non era previsto alcun indennizzo, di venire a lavorare nel vigneto, l’abbiamo anche formato con lezioni sulla potatura e l’abbiamo mandato tra i filari affiancato da operai esperti. Questa cosa mi è piaciuta molto, ci tengo alla squadra ed ero preoccupato, non sapevo neanche come il proprietario avrebbe preso la proposta di impiegare gli stagionali dell’agriturismo in vigna ma devo dire che non mi ha neanche fatto finire di parlare e mi ha detto di procedere”.
Delle quattro etichette prodotte da La Leccia, tre sono a base di Sangiovese in purezza, in grado di far assaporare la ricchezza espressiva di questo vitigno simbolo della toscanità. Il Sangiovese parla il nobile dialetto di quella specifica zona in cui cresce, e attraverso il sapiente assemblaggio delle uve dei diversi vigneti svela tutti i lati del suo carattere.
Per la “Gran Selezione” Castello La Leccia vengono scelte esclusivamentele uve provenienti dal vigneto Bruciagna: situato a quattrocento cinquantametri s.l.m, su un suolo in prevalenza argilloso-sabbiosoricco di Galestro, questo vigneto conferisce una sua impronta ben definita al Sangiovese e riesce a mantenerne costanti lecaratteristiche a prescindere dall’annata. I vigneti aziendali, tutti esposti a sud e sud-ovest, occupano cinque diverse zone intorno al Castello, ad altitudini variabili fra i trecento e i cinquecento metri. I terreni sono poco fertili, ben drenati e il clima è asciutto: elementi chiave per ottenere uve di ottima qualità. In questa zona il suolo è povero, ricco di scheletro e costituito da roccia calcarea e galestro, uno scisto argilloso che si sfalda facilmente e che, in presenza di acqua, si scioglie cedendo al terreno microelementi particolarmente preziosi per la pianta. Questo tipo di roccia ha un’azione modulatrice sul grado di umidità, possiede caratteristiche drenanti, ma in momenti di stress idrico è in grado di trattenere un certo livello di umidità grazie alle sue inclusioni argillose. L’azienda agricola Castello La Leccia segue da molto tempo i criteri dell’agricoltura biologica e sette anni fa ha ottenuto la certificazione.
Nei vigneti aziendali, dove si coltivano Sangiovese, Malvasia Nera e Syrah, l’utilizzo di rame e zolfo nella difesa fitosanitaria è ridotto al minimo. Il giusto apporto di sostanze organicheal terreno è assicurato in modo naturale: tra i filari crescono orzo, trifoglio e senape, ed il compost è ricavato dalle vinacce e dai raspi. Le uve vengono vendemmiate e vinificate separatamente selezionando con cura ogni parcella di ogni singolo vigneto. In cantina la fermentazione, avviata dai lieviti autoctoni, si svolge in vasche di acciaio a temperatura controllata. Dopo la svinatura, il vino prosegue la fermentazione malolattica nel cemento. La fase successiva, forse la più delicata, è l’assemblaggio, nel Chianti Classico, del Sangiovese, che proviene da quattro distinti vigneti e si presenta dunque con caratteri e profumi assai diversi tra loro.
Per l’affinamento, la scelta fra vasche di cemento, botti di rovere, tonneaux oppure barriques, è dettata dalla considerazione di ogni singolo caso specifico. Un lavoro meticoloso e di dettaglio che Orzalesi sta portando avanti con impegno nell’obiettivo di far diventare i vini di Castello La Leccia un punto di riferimento per il Chianti Classico. Qualità sempre accompagnata dalla massima sostenibilità e attenzione al terroir. Convinto del fatto che il vino non nasce solo dalla vigna, ma anche dall’ambiente che circonda la vigna, il general manager Orzalesi ha intenzione di procedere sulla strada di una sostenibilità ad ampio raggio; quindi non solo il biologico, “ma anche autosufficienza energetica, impronta carbonica e certificazione plastic free”.
“Perché è vero che il biologico ha un indubbio appeal commerciale che ci ha consentito di non soffrire in tempi di Covid – conclude Orzalesi –, ma il biologico va fatto in primis per la vita che deve tornare nel suolo del vigneto e che rappresenta una gioia incredibile”.