Sentenza su Champagne, Filiera Italia e Coldiretti: buona notizia anche per noi

La Corte di Giustizia UE si è espressa in merito alla disputa tra Francia e Spagna sul termine Champanillo affermando che il regolamento UE protegge le DOP da condotte relative  sia ai prodotti che ai servizi, e che può sussistere evocazione di un prodotto DOP IGP qualora, trattandosi di prodotti di apparenza analoga, vi sia un’affinità fonetica e visiva tra l’IGP o la DOP e il segno contestato.

Le dichiarazioni di Luigi Scordamaglia di Ettore Prandini

Finalmente uno stop chiaro all’uso improprio, strumentale e evocativo dei nomi delle denominazioni di origine protette in Ue” questo il commento di Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, alla sentenza della Corte di Giustizia. “Una buona notizia anche per la nostra dop economy. L’avvenimento, infatti, ha una portata storica nella campagna di contrasto all’Italian sounding in Europa nella quale il nostro Paese è impegnato in tutte le sedi competenti Questa sentenza può essere applicata anche alle tante imitazioni di Dop italiane

Una sentenza buona anche per l’Italiache è leader europeo nelle denominazioni di origine con 316 Dop, Igp e Stg che sviluppano un valore della produzione di 16,9 miliardi di euro e un export da 9,5 miliardi di euro con il contributo di oltre 180.000 operatori” dichiara il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “un patrimonio sotto attacco del falso made in Italy che utilizza impropriamente parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che si richiamano all’Italia per alimenti taroccati che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale”.

La sentenza arriva in seguito al ricorso del Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (CIVC), organismo che tutela degli interessi dei produttori di champagne, contro una catena di bar spagnoli che aveva usato a fini pubblicitari il nome “Champanillo”, nome che rimandava allo champagne con tanto di apparato iconografico evocativo. La sentenza -che Qualivita definisce “storica”– si sofferma sulla qualità garantita dai prodotti DOP IGP “al fine di consentire agli operatori agricoli che abbiano compiuto effettivi sforzi qualitativi di ottenere migliori redditi e di impedire che terzi si avvantaggino abusivamente della notorietà discendente dalla qualità di tali prodotti”.

I fatti

GB possiede dei bar di tapas in Spagna e utilizza il segno “Champanillo” per designare e promuovere i suoi locali. Nelle sue pubblicità, egli utilizza un supporto grafico raffigurante due coppe riempite di una bevanda spumante.

Il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (CIVC), organismo per la tutela degli interessi dei produttori di champagne, ha adito i giudici spagnoli al fine di ottenere che sia vietato l’uso del termine champanillo (che in lingua spagnola significa «piccolo champagne») in quanto l’uso di tale segno costituisce una violazione della denominazione d’origine protetta (DOP) «Champagne».  Adita in appello, l’Audiencia Provincial de Barcelona (Corte provinciale di Barcellona, Spagna) ha chiesto alla Corte di giustizia di interpretare il diritto dell’Unione in materia di protezione dei prodotti DOP qualora il termine “champanillo” sia utilizzato nel commercio per designare non già prodotti ma servizi.

La Corte precisa, in via preliminare, che, nel caso di specie, trova applicazione il regolamento recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli 1 e, in particolare, la disposizione 2 relativa alle condotte che non utilizzano né direttamente né indirettamente la denominazione protetta stessa, ma la suggeriscono in modo tale che il consumatore sia indotto a stabilire un sufficiente nesso di vicinanza con quest’ultima.

In primo luogo, la Corte dichiara che il regolamento protegge le DOP da condotte relative sia a prodotti che a servizi. Detto regolamento, infatti, è diretto essenzialmente a garantire ai consumatori che i prodotti agricoli muniti di un’indicazione geografica registrata presentino, a causa della loro provenienza da una determinata zona geografica, talune caratteristiche particolari.

Essi offrono pertanto una garanzia di qualità dovuta alla loro provenienza geografica, allo scopo di consentire agli operatori agricoli che abbiano compiuto effettivi sforzi qualitativi di ottenere in contropartita migliori redditi e di impedire che terzi si avvantaggino abusivamente della notorietà discendente dalla qualità di tali prodotti.

Il regolamento predispone dunque una protezione ad ampio raggio destinata ad estendersi a tutti gli usi che sfruttano la notorietà associata ai prodotti protetti da una di tali indicazioni.

Date tali circostanze, la Corte considera che un’interpretazione dell’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), di detto regolamento che non consenta di proteggere una DOP quando il segno controverso designa un servizio non solo non sarebbe coerente con l’ampia portata riconosciuta alla protezione delle Indicazioni Geografiche registrate, ma non consentirebbe di conseguire pienamente tale obiettivo di protezione, dal momento che la notorietà di un prodotto DOP può essere indebitamente sfruttata anche quando la pratica prevista da tale disposizione riguarda un servizio.

In secondo luogo, la Corte rileva che il regolamento non contiene indicazioni riguardo al fatto che la protezione contro qualsiasi evocazione sarebbe limitata alle sole ipotesi in cui i prodotti designati dalla DOP e i prodotti o i servizi per i quali è utilizzato il segno controverso siano «comparabili» o «simili», né nel senso di un’estensione di tale protezione ai casi in cui il segno si riferisca a prodotti o servizi non simili a quelli che beneficiano della DOP.

Secondo la giurisprudenza della Corte, la nozione di “evocazione” si estende all’ipotesi in cui il segno utilizzato per designare un prodotto incorpori una parte di una Indicazione Geografica protetta (IGP) o di una DOP, di modo che il consumatore, in presenza del nome del prodotto di cui trattasi, sia indotto ad aver in mente, come immagine di riferimento, la merce che fruisce di detta Indicazione o Denominazione.

Inoltre, può sussistere evocazione di una IGP o di una DOP qualora, trattandosi di prodotti di apparenza analoga, vi sia un’affinità fonetica e visiva tra l’IGP o la DOP e il segno contestato. Tuttavia, né la parziale incorporazione di una DOP in un segno che contraddistingue prodotti o servizi non protetti da tale denominazione, né l’identificazione di una similarità fonetica e visiva del segno con detta denominazione costituiscono condizioni che devono essere obbligatoriamente soddisfatte per accertare l’esistenza di un’evocazione di tale medesima denominazione. L’evocazione può infatti risultare anche da una “vicinanza concettuale” tra la denominazione protetta e il segno di cui trattasi.

La Corte considera che, per quanto riguarda la nozione di “evocazione“, il criterio determinante è quello di accertare se il consumatore, in presenza di una denominazione controversa, sia indotto ad avere direttamente in mente, come immagine di riferimento, la merce protetta dalla DOP, circostanza che spetta al giudice nazionale valutare tenendo conto, se del caso, dell’incorporazione parziale di una DOP nella denominazione contestata, di un’affinità fonetica e/o visiva di tale denominazione con tale DOP, o ancora di una vicinanza concettuale tra detta denominazione e detta DOP. Secondo la Corte, per accertare l’esistenza di un’evocazione è essenziale che il consumatore stabilisca un nesso tra il termine utilizzato per designare il prodotto in questione e l’IGP. Detto nesso deve essere sufficientemente diretto e univoco. L’evocazione può quindi essere accertata solo mediante una valutazione globale del giudice nazionale che comprenda l’insieme degli elementi rilevanti della causa.

Di conseguenza, la nozione di «evocazione», ai sensi del regolamento, non esige che il prodotto protetto dalla DOP e il prodotto o il servizio contrassegnato dalla denominazione contestata siano identici o simili. La Corte ha precisato che, nel valutare l’esistenza di una tale evocazione, si deve fare riferimento alla percezione di un consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Secondo la giurisprudenza, la protezione effettiva e uniforme delle denominazioni protette su tutto il territorio dell’Unione esige che non si tenga conto delle circostanze che possano escludere l’esistenza di un’evocazione per i consumatori di un solo Stato membro. Resta comunque il fatto che, per attuare la protezione prevista, l’esistenza di un’evocazione può essere valutata anche con riferimento ai consumatori di un solo Stato.

La Corte conclude che l’articolo 103, paragrafo 2, lettera b), del regolamento deve essere interpretato nel senso che l’«evocazione» di cui a tale disposizione, da un lato, non richiede, quale presupposto, che il prodotto che beneficia di una DOP e il prodotto o il servizio contrassegnato dal segno controverso siano identici o simili e, dall’altro, si configura quando l’uso di una denominazione produce, nella mente di un consumatore europeo medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, un nesso sufficientemente diretto e univoco tra tale denominazione e la DOP.

L’esistenza di un tale nesso può risultare da diversi elementi, in particolare, dall’incorporazione parziale della denominazione protetta, dall’affinità fonetica e visiva tra le due denominazioni e dalla somiglianza che ne deriva, e anche in assenza di tali elementi, dalla vicinanza concettuale tra la DOP e la denominazione di cui trattasi o ancora da una somiglianza tra i prodotti protetti da tale medesima DOP e i prodotti o servizi contrassegnati da tale medesima denominazione. Nell’effettuare tale valutazione, spetta all’Audiencia Provincial de Barcelona prendere in considerazione tutti i fattori pertinenti connessi all’uso della denominazione di cui trattasi.

Qui la sentenza

Fonte: Corte di giustizia dell’Unione europea