Il cibo ci porta a pensieri lontani, ci invita a percorrere varie strade, induce a porci le domande più diverse, a interrogarci e magari a chiederci: ma Dante le mangiava le tagliatelle?
Che gusti aveva Dante a tavola? Come si mangiava nel Medioevo? Quali erano le specialità gastronomiche nella Firenze del ‘300 e nelle città visitate dal Sommo Poeta nel lungo esilio? E ancora: Siamo più noti all’estero per la Divina Commedia o per la pizza e il parmigiano?
Certo leggendo a quali pene l’Alighieri ha condannato i golosi viene da pensare che non fosse un buongustaio e non godesse appieno del piacere delle Pappardelle toscane o dei Pici, quei grossi spaghettoni di pasta fresca conditi con cacio e pepe o con ragù di anatra, senza pomodoro, ovviamente! Non doveva essere un gran mangione anche per il timore reverenziale nei confronti dei Padri della Chiesa che mettevano la “gola” fra i mali capitali. Nella realtà del Medioevo mangiare molto ed essere grassi era un privilegio, quasi un obbligo, solo di chi deteneva il potere …anche quello religioso!
La nostra non vuole essere una lettura irriverente dell’opera del Sommo Poeta e tanto meno intendiamo sminuire l’eccellenza del Padre della Lingua Italiana, ma cerchiamo di partecipare alla ricorrenza dei 700 anni dalla morte con una “briciola” dell’immensa eredità culturale ed artistica che ci ha lasciato.
Fra il Duecento e il Trecento l’Italia del Centro Nord era caratterizzata dai Comuni e nel periodo in cui visse Dante (1256 e il 1321)Firenze era fra i Comuni più importanti, dinamici e moderni ma anche difficili e dilaniata da lotte interne fra guelfi e ghibellini, fra i ricchi mercanti delle Arti Maggiori e il ceto popolano delle Arti Minori, corrotta dalla cupidigia del potere e del denaro che il poeta stigmatizzò nelle Cantiche della sua opera maggiore.
Dotato di un sapere enciclopedico, intellettuale, poeta e cittadino attivo della piccola nobiltà fiorentina, Dante rimase vittima del suo impegno politico e condannato ingiustamente in esilio. Ma, tornando al cibo, il senso della misura e la ricerca della perfezione per meritare il Paradiso e l’Amore eterno di Beatrice lo portavano ad essere piuttosto morigerato. Probabilmente si accontentava di una zuppa di legumi con il pane, fondamentali nell’alimentazione del Medioevo. Gli piaceva il pane toscano, quello “sciocco”, senza sale anche perché il sale era molto caro all’epoca. “Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale” fa dire a Cacciaguida nel Canto Diciassettesimo del Paradiso. Canto in cui compie un excursus sulla Firenze antica, precedente alla sua vita, quando la morigeratezza viveva nella città improntata ai valori della tradizione della famiglia patriarcale e alla sobrietà dei costumi e la confronta con il lento declino della Firenze del suo tempo dovuto alla bramosia di lucro e alla corruzione che lo costringerà al lungo esilio.
Boccaccio (1313 – 1375)che invece era un gaudente e un gran gourmet (diremmo oggi) ci dà notizie di specialità ben note anche a noi e che poco appeal avevano per Dante! Nella Novella del Decameron intitolata a “Calandrino e l’ elitropia” parla di maccheroni, capponi, parmigiano, vino e tante altre bontà con cui si potevano fare scorpacciate memorabili nel Paese del Bengodi, luogo ovviamente immaginario, nel quale “… si legano le vigne con le salsicce…ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato,sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi…e ivi presso correva un fiumicel di Vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avevi entro gocciola d’acqua!” Mentre nel “Trattatello in laude di Dante” racconta che l’autore della Divina Commedia era preciso, ordinato, sobrio, parsimonioso e scrive “Nel cibo fu modestissimo, sì nel prenderlo alle ore ordinate e sì in non trapassare il segno della necessità…né alcuna curiosità ebbe mai più in uno che in un altro…oltremodo biasimando coloro li quali … non mangiare per vivere, ma più tosto vivere per mangiare”.
Condannato al duro esilio e alla conseguente richiesta continua ed umiliante di ospitalità, Dante inizia a scrivere La Divina Commedia, quel grande Poema allegorico in lingua volgare universalmente ritenuto una delle più importanti testimonianze della civiltà medioevale e fra le opere più conosciute e studiate in tutto il mondo, fondamentale anche nel consolidare il dialetto toscano come lingua italiana. La Commedia dantesca è uno straordinario contenitore di storie di diversa umanità e di saperi in cui i sentimenti più profondi si intrecciano con la sua vita e con i preziosi riferimenti geografici e visivi dei luoghi che visitò, dove trovò rifugio grazie all’ospitalità dei signori locali, ma non offre molte informazioni sulle pietanze del tempo e non onora la tradizione culinaria del nostro Paese.
Anche quando scrive il Convivio, titolo che a tutti i comuni mortali farebbe pensare al cibo e ai piaceri della tavola, Dante si riferisce a tutt’altro e “imbandisce “ un “banchetto di sapienza” finalizzato “con il pane del commento” e del sapere a “nutrire tutti gli uomini” non nel corpo ma nella mente e nello spirito! “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”. E’ la sintesi del profondo suo pensiero espresso anche nel Canto Ventiseiesimo della Divina Commedia. Ancora una volta non si smentisce e poco sappiamo delle sue abitudini alimentari e degli aspetti che riguardano il nutrimento del corpo, troppo prosaici per interessare la sua mente elevata!
Nelle statue e nelle immagini la sua figura appare piuttosto magra e patita. Patimenti ne ha subito e pure tanti, lo sappiamo e il Sommo Poetaprobabilmente quando si interessava al cibo lo faceva per trarre ispirazione per le condanne eterne e con la sua fervida e creativa immaginazione pensò piuttosto a quali pene terribili infliggere, secondo la legge del Contrappasso, ai poveri gaudenti che condannava all’Inferno o al Purgatorio. Più che dei piaceri della gola nella Divina Commedia si parla, dunque, dei peccati di gola! Sarà che l’Alighieri era troppo innamorato di Beatrice da perdere l’appetito, sarà perché nel V Canto dell’Inferno, dopo il racconto di Francesca e il pianto di Paolo, mosso a pietà cadde “come corpo morto cade” e dalla purezza dell’amore si ritrovò nell’impurità della gola, pensò allora di condannare i golosi senza appello! Nel terzo Girone quelli che in vita sono andati alla ricerca delle più grandi prelibatezze culinarie , sono costretti a stare nel fango sotto una pioggia greve e maleodorante. Anche nei Canti XXIII e XXIV del Purgatorio i colpevoli di eccessivo amore per il cibo e le bevande sono puniti e tormentati da fame e sete e sadicamente stimolati dal profumo di dolci frutti che pendono da alberi all’entrata e all’uscita della VI Cornice e da una fonte d’acqua che sgorga dalla roccia! E qui compare l’unica menzione esplicita di cibo e bevanda il cui abuso papa Martino IV sconta in questo luogo di passaggio “…e purga per digiuno l’anguille di Bolsena e la Vernaccia”, reo di non riuscire a resistere a tali prelibatezze!
La Vernaccia, il famoso vino di San Gimignano, ha una storia lunga secoli ed è presente sulle tavole di re e papi fin dal ‘200, ma da Dante è immortalata come tentatrice insieme all’anguilla del lago di Bolsena. Ancora oggi le Anguille alla Vernaccia sono un piatto prelibato della cucina del viterbese.
Nella contemporaneità c’è una decisa inversione di tendenza. L’abbondanza di cibo tipica delle società industriali postmoderne pone problemi nuovi e mette in luce una cultura lontana dalla fame ma alle prese con la paura delle calorie in eccesso! I peccati di gola al giorno d’oggi non si raccontano più in confessionale ma al nutrizionista o all’analista! La società opulenta come viene fotografata da Marco Ferrerinel film del 1973 “La Grande Abbuffata” presenta una variante della punizione dei golosi costretti non al digiuno ma alla ingestione forzata di quantità eccessiva di cibo!
In esilio Dante resterà per 20 anni fino alla morte e soggiornò con molta probabilità a Verona, Treviso, in Lunigiana, fra Toscana e Liguria, e poi ancora a Lucca, Porciano, Bologna , Faenza, Ferrara Forlì, Imola. Nel Veneto a Padova il Padre della lingua italiana incontrò con molta probabilità un altro illustre toscano Giottoche nello stesso periodo fra il 1303 e il 1305 era impegnato nel ciclo di affreschi della Cappella degli Scrovegni. Infine nell’ultimo periodo le tappe furono Ravenna,Venezia e ancora Ravenna dove morì e fu sepolto.
Possiamo immaginare che nemmeno Dante nel suo lungo peregrinare in luoghi così ghiotti abbia potuto resistere alle tagliatelle, alle paste ripiene di ogni ben di Dio, a tortelli e ravioli con generosa spolverata di pecorino o parmigiano, alle lasagne o alla superba “salama da sugo” e a tante altre specialità nate dalla ricchezza dell’età comunale, dai commerci e dagli incontri con altre culture ed altri popoli.
Al tempo dell’Alighieri c’è un fermento intellettuale, culturale ed economico che prelude lo splendore dell’Umanesimo e del Rinascimento e anche la cucina, che sappiamo essere da sempre specchio sociale, dopo l’anno Mille e la lunga crisi conosce un cambiamento del gusto e la comparsa di preziosi libri di ricette. E’ in questo periodo che si affaccia anche il termine “companaticum” che riconosce al pane ancora un ruolo di centralità, ma che sempre più viene “accompagnato” con qualcosa di buono e sostanzioso!
Continueremo a parlare, nei prossimi giorni su questa pagina, della Cucina del Medioevo, a celebrare Dante con i piatti del suo tempo e a sottolineare i riferimenti a personaggi e località d’Abruzzo che il Poeta ha immortalato nella Commedia e che l’edizione 2021 dello storico Lunario di Chieti ha dedicato al Settecentenario della morte con le illustrazioni del noto disegnatore abruzzese Lucio Trojano.
Il Lunario 2021 di Chieti è dedicato a Dante
Un omaggio a Dante Alighieri l’edizione numero 34 del Lunario di Chieti. Il nome completo dello storico almanacco è “Lu Lunarie de Cchjiete – Almanacche Astrologgiche de l’Abbruzze e de lu Mulise” intitolato “Dante e l’Abbruzze a Settecent’anne da la morte”.
Dante, Di Maio: oltre 500 iniziative nel mondo per celebrarlo
‘Dante 700 nel mondo’: “La nostra strategia di promozione integrata continua ad avere al centro la cultura”
Oltre 500 iniziative di diplomazia culturale durante l’anno curata dalla Farnesina e dalla rete diplomatica e degli Istituti italiani di cultura all’estero che si concluderanno a ottobre con la settimana della lingua italiana. Le celebrazioni si inseriscono nel quadro di un anniversario fondamentale sia per la storia sia per identità culturale del Paese. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio intervenendo alla presentazione di “Dante 700 nel mondo”, iniziative della Farnesina per il settimo centenario della morte di Dante Alighieri. Il programma, che coinvolge la rete delle Rappresentanze diplomatiche e degli Istituti Italiani di Cultura all’estero, prende avvio a marzo in occasione del Dantedì (25 marzo) e durerà fino alla XXI Settimana della Lingua Italiana nel mondo (18-24 ottobre), anch’essa quest’anno dedicata al Poeta (“Dante, l’italiano”).
Se quello di Dante è un anniversario speciale, ha ricordato Di Maio, lo è anche il momento storico in cui lo celebriamo. “La pandemia ci ha imposto di ripensare radicalmente il modo di relazionarci all’altro e all’esterno. Alla Farnesina abbiamo deciso di raccogliere questa sfida con grande determinazione. Questa situazione critica ci ha costretto a nuove soluzioni che ora portano benefici innovativi. Il ricorso obbligato al digitale ha ridotto le distanze, ha consentito di portare molto estero a casa e molta Italia all’estero. Ha modificato il modo di vivere la cultura e il viaggio. Questi sviluppi lasceranno un segno anche dopo la crisi”.
Il contesto in cui ci troviamo, ha proseguito il ministro degli Esteri, “non ha modificato però i punti fermi della nostra strategia di promozione integrata che continua ad avere al centro la cultura. La celebrazione del settimo centenario della scomparsa del Sommo Poeta lo dimostra: Dante Alighieri è un genio il cui insegnamento va oltre il tempo e i vincoli spaziali ed è capace di ispirare generazioni e culture lontane e diverse lasciando un segno indelebile. Figure come la sua simboleggiano il patrimonio culturale e storico dell’Italia che è l’essenza del nostro soft power. Dante in questo senso è un’icona del genio italiano”.
Dante 700 nel mondo, ha concluso Di Maio, “è un’occasione unica per lanciare un messaggio di speranza e di fiducia. L’italia si può mostrare al mondo con la sua resilienza e la sua vitalità in tempo di pandemia. Grazie a Dante ricordiamo che la cultura è una risorsa capace di unire nelle diversità e di fornire chiavi universali per decifrare e superare la realtà in momenti così complessi”.