Il commento di Carlin Petrini: “la ricerca sul cibo e l’educazione alimentare saranno i punti nevralgici per un avvenire più sostenibile. Una maggiore attenzione verso il Pianeta è ciò che le nuove generazioni hanno già iniziato a chiedere e che davvero necessitano per realizzare nel miglior modo possibile il loro futuro”
Partecipano all’iniziativa l’Università di Torino, il Politecnico di Torino, l’Università del Piemonte Orientale e l’Università di Scienze Gastronomiche, con l’obiettivo di attrarre finanziamenti per linee di ricerca applicata e diventare punto di riferimento internazionale sul tema. La sede sarà a Pollenzo nell’Università di Scienze Gastronomiche
Il Centro di Studi e Ricerca sul Cibo Sostenibile è nato dalla collaborazione di quattro atenei del Piemonte che vogliono fare del cambiamento green un punto chiave delle loro azioni. L’obiettivo è realizzare progetti collaborativi secondo una logica di laboratorio diffuso che sfrutta e valorizza le infrastrutture di eccellenza presenti nelle sedi dei singoli atenei
Approccio olistico, formazione dei giovani e supporto alle startup
Il Centro – di cui sarà presidente Carlo Petrini, fondatore dell’associazione Slow Food e presidente nell’Università di Scienze Gastronomiche – dovrebbe diventare un punto di riferimento internazionale in grado di attrarre finanziamenti per la ricerca applicata.
Educazione alimentare obbligatoria
Proprio Carlo Petrini ha lanciato un appello per un nuovo sistema educativo alimentare che si può sottoscrivere sia a livello individuale che collettivo.
Nell’appello, Petrini chiede al Governo italiano di inserire «l’educazione alimentare come insegnamento obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado». È fondamentale «conoscere il valore del cibo, il modo in cui viene prodotto, venduto e distribuito». Ogni singolo individuo può impegnarsi a diventare un agente del cambiamento scegliendo «cibo locale, stagionale e biodiverso possibilmente non avvolto in imballaggi di plastica monouso».
L’impegno di cui parla Petrini si estende anche a diminuire l’assunzione di proteine animali e di cibi ultra processati, a ridurre il più possibile lo spreco alimentare fino a eliminarlo, e fare un uso attento dell’acqua. L’appello intende creare un movimento di pensiero e di azione coinvolgendo più persone possibile. Le nostre scelte alimentari, infatti, sono un ottimo punto di partenza per cambiare le criticità attuali.
Il laboratorio diffuso del Centro di Studi e Ricerca sul Cibo Sostenibile
Il sistema universitario piemontese -scrive una nota stampa dei promotori- è l’ambiente ideale per ospitare il Centro di Studi e Ricerca sul Cibo Sostenibile. Dai laboratori specialistici di UniTo, PoliTo, UniUPO e UniSG si svilupperanno progetti collaborativi da realizzare secondo una logica di laboratorio diffuso che sfrutta e valorizza le infrastrutture di eccellenza presenti nelle sedi dei singoli atenei. Un insieme che garantisce un capitale di conoscenze, competenze e infrastrutture di ricerca di alto livello. A questo si aggiunge la proficua collaborazione con enti e istituzioni nazionali e internazionali non profit, di ricerca e formazione, e associazioni di cittadini.
Il nuovo Centro di Studi e Ricerca sul Cibo Sostenibile avrà una funzione di supporto alle iniziative culturali e turistiche di promozione del territorio. Inoltre, si impegnerà a creare una coscienza individuale e collettiva sui temi che riguardano lo stretto legame tra la vita e la salute dell’uomo e quella del Pianeta.
Un’altra questione chiave che coinvolge il Centro è il sostegno a incubatori creativi e startup per studenti o alumni delle Università che intendono sperimentare nuove vie imprenditoriali in tema di buona alimentazione secondo modelli sostenibili di produzione, distribuzione e consumo del cibo.
La formazione dei giovani è una priorità
La formazione delle giovani generazioni è considerata prioritaria per imprimere una svolta green a livello della società nel suo insieme, come pure la sensibilizzazione delle istituzioni pubbliche: un approccio olistico per un vero cambiamento. Cinque le parole chiave che guideranno gli interventi del Centro: misurabilità, sostenibilità, circolarità, qualità e salubrità.
Undici invece gli obiettivi da perseguire:
- Promuovere stagionalità e località: la stagionalità comporta la disponibilità di cibi freschi, ciò consentendo di godere appieno delle loro caratteristiche organolettiche e nutritive senza intermediazione di cicli frigorigeni, catene di trasporto complesse o uso di conservanti, entrambi causa di consumi energetici (diretti o indiretti) e quindi di emissioni di gas serra. Proprio per questi minori consumi – energetici o di materiali – il cibo stagionale ha un riscontro anche nel diritto al sapore e alla sostenibilità economica per il consumatore;
- Ridurre la plastica all’interno della filiera alimentare: L’inquinamento da plastiche non biodegradabili ha raggiunto livelli preoccupanti. Se da un lato sono oramai necessarie politiche attive per ripulire il mondo dalle pervasive plastiche, dall’altro è urgente sia ridurne al massimo l’utilizzo che aumentarne la riciclabilità;
- Ridurre gli sprechi: Ogni anno si producono 2,6 Gton (miliardi di tonnellate) di cibo utile, generando contemporaneamente 1,3 Gton di rifiuti organici, per metà circa originati nelle mura domestiche, per l’altra metà lungo la filiera produttiva. Ridurre gli sprechi alimentari significa produrre meno CO2, disboscare meno foreste per far spazio a produzioni alimentari e, non poco in termini di riduzione delle diseguaglianze, risparmiare;
- Promuovere un utilizzo rigenerativo dei suoli: il consumo di suolo continua ad aumentare: In Italia cresce più il cemento che la popolazione, e ogni secondo si perdono 2 mq di suolo fertile. È necessario rafforzare il legame tra agricoltura e ricerca, favorendo il dialogo e la collaborazione tra aziende agricole virtuose dal punto di vista dei servizi ecosistemici e centri di ricerca, con l’obiettivo di iniziare un percorso che porti alla costituzione di un network italiano di lighthouse farms (dimostratori territoriali di buone pratiche, luoghi di formazione e comunicazione) e living labs (luoghi ricerca dove gli stakeholders contribuiscono a sviluppare soluzioni e ad accelerarne l’adozione sui territori), in collaborazione con gli stakeholders attivi nel settore.
- Rafforzare la biodiversità: La Convenzione ONU sulla Diversità Biologica definisce la biodiversità come la varietà e variabilità degli organismi viventi e dei sistemi ecologici in cui essi vivono, includendo la diversità a livello genetico, di specie e di ecosistema. Negli ultimi 10 anni sono scomparse 160 specie animali e 35,000 sono quelle a rischio, anche in conseguenza dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento e di un uso scorretto dei suoli. Combattere la perdita di biodiversità non è solo una questione etica. Biodiversità significa resilienza e capacità di sopravvivere al cambiamento grazie a un sottile equilibrio che regola le relazioni tra gli esseri viventi, l’uno essendo spesso funzionale all’altro in un ecosistema complesso.
- Ridurre gli anelli della filiera di produzione e trasporti delle merci: ogni volta che si tratta una materia prima alimentare se ne compromette in parte le qualità nutritive, si generano scarti, si consuma energia e si contribuisce all’effetto serra. Il trasporto di merci in container a costi bassi ha portato da un lato ad aumentare l’impronta ambientale dei cibi e dall’altro a mettere fuori mercato filiere alimentari autoctone;
- Aumentare l’apporto proteico da fonti alternative alla carne: L’allevamento di bovini, anche per la sua estensione, comporta il 4% delle emissioni di gas serra di origine antropica. Questo non è legato tanto alla CO2 ma al metano associato alle deiezioni animali, essendo quest’ultimo 21 volte più efficace del biossido di carbonio nel promuovere il riscaldamento dell’atmosfera. All’insegna del principio “no one left behind” a cui ispirare la transizione ecologica – per non generare squilibri economici controproducenti- sarà necessaria una certa progressione nel disimpegno, almeno parziale, dalla carne come fonte proteica, privilegiando comunque le filiere autoctone di prossimità rispetto a quelle di importazione, su cui pesa l’impronta ambientale aggiuntiva legata al trasporto;
- Tracciare e qualificare sempre meglio il cibo: qualificare, certificare e tracciare i cibi prodotti lungo l’intera catena che dal campo passa all’industria di processo, alla tavola dei consumatori fino ad arrivare alla salute di questi ultimi attraverso la blockchain, la rete informatica di nodi che gestisce in modo univoco e sicuro un registro pubblico composto da una serie di dati e informazioni, come le transazioni, in maniera aperta e distribuita, senza che sia necessario un controllo centrale;
- Promuovere l’educazione alimentare nelle scuole favorendo il dialogo tra scienza e saperi tradizionali: per raggiungere la massa critica necessaria ad affrontare con successo le enormi sfide della contemporaneità, è necessario crescere una generazione di cittadini consapevoli che i propri stili di vita e in particolare i propri consumi alimentari impattano fortemente sul sistema alimentare globale;
- Promuovere la salute attraverso il cambiamento degli stili di vita. La salute è perseguibile attraverso l’adozione di diete sane e sostenibili. In un’ottica di innovazione e di cambiamento del modello sanitario attuale, che dedica una parte cospicua delle proprie risorse al processo di cura, il cibo potrebbe e dovrebbe rappresentare il giro di boa verso un maggiore investimento in piani preventivi, che mirino non solamente all’incremento dell’età media di vita della popolazione, come accaduto negli ultimi decenni, ma con l’obiettivo più ambizioso di promuovere e sostenere un invecchiamento in salute. Inoltre, l’adozione di pattern dietetici sani e sostenibili, ha il duplice vantaggio di preservare non solo la salute dell’uomo, ma anche quella del Pianeta Terra.
- Supportare e promuovere la costruzione di “politiche del cibo” alle diverse scale e in particolare quella regionale e locale: le politiche del cibo su scala nazionale e regionale hanno un ruolo fondamentale nella territorializzazione delle politiche europee in campo agro-alimentare. Il nuovo Centro potrà favorire ulteriormente la collaborazione tra gli atenei piemontesi – già avviata con l’Atlante del cibo di Torino metropolitana, il lancio dell’Osservatorio nazionale sulle politiche locali del cibo e le attività della RUS (Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile) e in particolare di RUS Piemonte – consentendo di giocare un ruolo di riferimento alla scala nazionale e internazionale nel supporto e promozione alla costruzione di food policy place-based che sappiano difendere, promuovere e valorizzare le diversità bio-culturali.
La centralità del cibo: il commento di Carlo Petrini
“L’attenzione che l’accademia piemontese, attraverso il lancio di questo nuovo Centro di Studi e Ricerca inter-ateneo, sta rivolgendo al mondo del cibo è qualcosa di encomiabile e allo stesso tempo di indispensabile – commenta Carlo Petrini, Presidente del Centro e dell’Università di Scienze Gastronomiche –.Dico questo in virtù dell’importanza che l’alimentazione ricopre da sempre per la vita degli esseri umani. Lo ribadisco soprattutto alla luce della centralità che il cibo ha, e sempre più dovrà avere, nel periodo storico che stiamo attraversando. Se la pandemia e le atroci guerre degli ultimi anni ci hanno ricordato quanto il cibo sia un punto dirimente anche a livello geopolitico, la crisi climatica che attanaglia il nostro Pianeta pone l’accento sulla vulnerabilità degli attuali sistemi alimentari, che in questo senso si pongono come vittima (la produzione di cibo sarà interamente da ripensare per via del riscaldamento globale) e carnefice (oggi il cibo è la principale causa della produzione di CO2). Per questi motivi la ricerca sul cibo e l’educazione alimentare saranno i punti nevralgici per un avvenire più sostenibile. Una maggiore attenzione verso il Pianeta è ciò che le nuove generazioni hanno già iniziato a chiedere e che davvero necessitano per realizzare nel miglior modo possibile il loro futuro”.