“In coda dall’alba, 5mila pacchi al giorno”
Coda impressionante alla vigilia del 15: nella morsa del bisogno tanti italiani e poi ucraine fuggite dalla guerra. Il vicepresidente della onlus Pane Quotidiano, Luigi Rossi: “Quest’anno registriamo mille passaggi in più ogni giorno”
Iniziano a mettersi in fila per il cibo alle sei del mattino. Due ore dopo – quando aprono i cancelli dell’associazione “Pane Quotidiano” – la “processione” sul marciapiede di viale Toscana è lunga centinaia di metri, lambendo via Castelbarco. Alle 12.30 i pacchi alimentari consegnati sono 2.240 che, assommati ai 2.190 dell’altra sede di viale Monza, fanno un totale di 4.430. “Un record per la vigilia di Ferragosto.
Quest’anno, scrive il quotidiano Il Giorno, si viaggia su una media di 4mila/4.500 passaggi ogni giorno, con punte di 5mila nelle due sedi, come sabato scorso. Negli anni passati la media era di circa 3mila/3.500. Con la pandemia i numeri sono cresciuti, quest’anno ancora di più” dettaglia Luigi Rossi, il vicepresidente del Pane Quotidiano, la onlus laica che da 125 anni assicura, da lunedì a sabato – tranne a Ferragosto – prodotti alimentari alle fasce più povere della popolazione. “L’obiettivo è soddisfare il fabbisogno calorico dell’intera giornata. Oggi a Ferragosto abbiamo pane e latte ma anche brioche, stracchino, yogurt, tonno in scatola, melone e tiramisù”. Nessuna selezione all’ingresso: “Non richiediamo documenti, figuriamoci l’Isee” puntualizza Rossi.
Il 35% dell’utenza è rappresentato da connazionali “in crescita rispetto agli anni scorsi” rimarca il vicepresidente. Quel sottoproletariato italiano – “la classe sociale meno “vista” di tutte” scriveva Vitaliano Trevisan – che ha il volto di Luigi di San Donato Milanese che a 53 anni si trova a dipendere, per vivere, dalla pensione della madre 79enne: “Brutto a dirsi ma, se scompare lei, io e gli altri miei due fratelli, tutti disoccupati, siamo spacciati. Mio padre? È morto quando avevo nove anni. Ho portato il curriculum ovunque, anche per lavorare di notte, ma non mi chiama nessuno. I servizi sociali non mi hanno mai aiutato. Sono tre anni che vengo al Pane Quotidiano: l’anno scorso però ad agosto non c’era quasi nessuno. Adesso gli italiani arrivano anche da fuori, dalle province di Monza e Pavia“.
Fra gli stranieri in coda muratori e imbianchini egiziani, a dimostrazione che il lavoro povero non è un’invenzione. O disoccupati come il rumeno 36enne “Mario”, nome di fantasia: “Ho lavorato per 15 anni nella ristorazione. La mia è stata una lunga storia di sfruttamento. La scorsa estate lavoravo ad Olbia ma in nero e ho dovuto mettere di mezzo i sindacati e i carabinieri per farmi dare gli stipendi arretrati. Ad aprile mi sono licenziato da un ristorante di lusso in corso Sempione: ero capocucina ma facevo anche il lavoro dei due chef licenziati. Pagato con un cameriere, 1.500 euro, straordinari gratis. Non ce l’ho fatta più a fare lo schiavo e ho sbattuto la porta“.
In abbondanza il numero di donne ucraine. Come Svetlana, 53 anni che da 22 anni fa la domestica a Milano ma adesso è senza stipendio, perché evidentemente non ha un contratto stabile. Con lei un’amica che è fuggita dal conflitto. “Cerco di aiutare le mie connazionali come posso. Sono sole perché i mariti sono al fronte e non parlano una parola di italiano. Per questo non riescono a trovare uno straccio di lavoro”.
I prodotti distribuiti da una rete di 170 volontari arrivano dalle eccedenze di oltre 100 aziende alimentari, “anche se a me piace pensare che le eccedenze siano volute per aiutarci. L’equivalente commerciale è di circa 20-25 milioni di euro l’anno. Senza l’aiuto degli imprenditori saremmo durati 125 ore, altro che 125 anni” conclude Rossi.