Mi è ricapitato tra le mani e non mi sono tenuto: l’ho riletto. Si, ne è valsa la pena perché è e sarà sempre un ottimo libro: “Le anime morte” uno dei grandi della letteratura russa a firma di Nikolaj Vasil’evič Gogol’.
Nato a Soročincy nel governatorato di Poltava (Ucraina) il 1° aprile 1809, Nikolaj era figlio di un piccolo possidente terriero e nella sua variegata ascendenza, paterna e materna, vi scorrevano gocce di sangue polacco e cosacco. Il suo capolavoro, “Le anime morte”, fu pubblicato per la prima volta nel 1842 (il titolo fu censurato e trasformato in: “Le avventure di Čičikov”) e allarmò al quanto i benpensanti del tempo, in parte per la difettosa burocrazia e in parte per la bassa moralità che ve ne emergeva.
Pavel Ivanovič Čičikov, il protagonista, partorisce e cerca di perpetrare una truffa che non verrà però tenuta nascosta come vorrebbe. Le anime morte, gli allora servi della gleba, sui quali i proprietari terrieri ebbero diritto di vita o di morte fino alla riforma del 1861, sono la materia prima della truffa. Non mi dilungo nel raccontare l’opera letteraria, che invece vi invito a leggere, ma vorrei per questo mio momento di scrittura soffermarmi su alcuni spunti gastronomici che ve ne fanno parte. Anche per essere in totale armonia con il mio lavoro.
Non si può non citare l’editore francese Ambroise Vollard, uno dei più grandi mercanti d’arte di tutti i tempi, che commissionò a Chagall, nel 1923, di illustrare “le Anime morte” di Gogol.
Sin dai primi passi del libro sono di fatto citati cibi e bevande al quanto interessanti. Si inizia subito con lo “sbìten” servito nel “samovàr” di rame rosso. Il primo è una bevanda russa a base di acqua calda, miele, limone e spezie. Il secondo un meraviglioso recipiente (rame, ottone o altri metalli) a forma di vaso dentro al quale si scalda l’acqua e la si mantiene calda. Viene alimentato a spirito.
Poche righe di testo e viene citata la “sci” ovvero una zuppa di cavoli, poi la pasta sfoglia che si conserva per settimane ed è ideale per i viaggiatori di passaggio nelle locande, le cervella con i piselli, le salsicce con i cavoli; pollo arrosto, cetrioli salati e il pasticcio dolce di sfoglia sempre pronto per chi lo ordina. In pratica ciò che viene servito al protagonista per il suo primo pranzo del libro. Giusto per stare leggero.
Nello straordinario svilupparsi della storia, tra personaggi più o meno nobili, più e meno etici, si consumano pranzi, cene e spuntini dopo la Messa. Giocate alle carte e fumate di pipa, corteggiamenti e gossip d’antan.
Vi riporto alcuni passaggi, alcuni momenti culinari che Čičikov vive in prima persona durante gli incontri con i vari personaggi destinati ad avere a che fare con lui per l’acquisto delle anime morte: in poche parole mentre costruisce la truffa ideata.
Eccolo con la “Mammetta” a vedere sulla tovaglia e poi a gustarsi funghetti, pasticcini, tortine, frittelle con ogni specie di ripieni: con ricotta, con cipolla, semi di papavero e altro. Poi frittelline calde appena sfornate e tuffate nel burro fuso, e ancora una pizza ripiena con uova sode particolarmente apprezzata.
Nella locanda “Izbà” (tipica costruzione russa realizzata con tavole di legno) Čičikov chiede alla locandiera se c’è del porcellino. Lo ordina con rafano e panna acida. Nel dialogo in cui, mentre si gusta il porcellino, Čičikov chiede informazioni alla padrona vengono citati il pollo e il fegato di montone.
Un intermezzo enologico (che vi sottolineo) lo troviamo nel racconto di uno dei personaggi, con il quale Čičikov ha a che fare, mentre racconta di essersi goduto una sostanziosa bevuta ad una fiera. Racconta del capitano in seconda dei dragoni, tale Pozelùjev, che il Bordeaux lo chiamava “Burdàshka”: “Portami del Burdàshka” esclamava in grazia alcolica. Mentre il tenente Kuvscìnnkov serviva del Ponomariòv. Vengono poi citati il Clicot e il Clicot Matradura, poi quello chiamato Bombon e lo Sciampagna, il tutto ovviamente con le dovute storpiature ben comprensibili. Meno storpiato invece un passaggio del racconto dove si parla di un vino taroccato, vino mischiato con sandalo, turacciolo bruciato e perfino sambuco.
Proseguo. Mentre un servo teneva in mano un coltello, una crosta di pane e del pesce affumicato, spunta della Vodka all’anice. Arrivo a pagina 69 della mia versione. Dopo l’antipasto a base di pesce, consumato in piedi, si misero a tavola per la cena verso le cinque. Siamo con un altro personaggio e le portate sono alcune bruciacchiate e altre malcotte. Il cuoco tendeva ad usare ciò che aveva a portata di mano. Pepe, cavolo, latte, prosciutto, piselli e via a mescolare: l’importante che fosse caldo. Prima ancora che venisse servita la minestra il padrone di casa offrì ai commensali del Porto e del Haut Sautern e non semplice Sautern (viene evidenziato). Poi fece portare una bottiglia di Madera che venne tagliato con il Rhum e arrivò anche una Vodka da 50°. Poi ancora Sciampagna e Borgogna. Non si trattavano male dunque.
Procedo. Mani lavate nella salamoia dei cetrioli…a pagina 90 un bicchierino di vodka prima di sedersi a tavola. Siamo a casa di Sobakèvic. Antipasti stimolanti per l’appetito. Una zuppa di cavoli molto buona da gustare con una pietanza chiamata “njànja” ovvero stomaco di montone ripieno di polenta di grano saraceno, cervella e piedini. Nel libro viene lodata come piatto della cucina casalinga di campagna e non come quella che si troverebbe in città (già allora). Durante la cena Čičikov elogia anche la cucina del governatore menzionando le braciole di maiale e il pesce bianco. L’ospite invece critica il cuoco del governatore, uno chef di scuola francese: secondo Sobakèvic prende il gatto gli cava la pelle e lo serve in tavola come lepre. La signora Sobakèvic lo rimprovera per le cose sgradevoli che dice (curiosità del volume).
Avrete capito bene che questo non è un classico articolo, è più un racconto basato su di una lettura dalla storia ben lontana dall’enogastronomia, ma ricca di riferimenti in merito, datata 1842 e ambientata nelle campagne russe. Dico campagne perché in un passaggio un personaggio ammette che vivendo tra i terreni agricoli si divora mezza costata di montone con polenta di grano saraceno dopo un piatto enorme di pasticcio per antipasto. Se vivesse a Pietroburgo mangerebbe più leggero: costolette con tartufi. Straordinario.
Saltiamo a pagina 141. Molto interessante. Tutti raggiunsero finalmente la fronte della casa del capo della polizia. Si legge a metà pagina. I presenti nella stanza giocano a “whist” (gioco delle carte) vengono serviti: belùga (un pesce dalle carni raffinate), salmoni, storioni, caviale in scatola, caviale fresco, aringhe, storioncini stellati, formaggi, lingue e pesci affumicati. Ma le portate sono incrementate con altri supplementi. Un pizza con ripieno di cartilagini, filetti di storione da nove “pud” (antica misura di peso russa), un’altra pizza con funghi. Ancora brigidini, pasticcini al burro, pasticcini fritti. Giusto per non farsi mancare nulla.
Proseguendo con la lettura ci si imbatte nella storia del capitano Kopèjkin. Dopo un paio di pagine eccoci nella trattoria di Pàlkin a bere Vodka. E’ li che il capitano si fa servire una costoletta con i capperi, un cappone con ogni specie di cose buone e una bottiglia di vino. Capito il capitano? Sempre nella storia del graduato fanno poi capolino storioni, ciliegie vendute ad alto prezzo e vino francese.
Di tanto in tanto ancora zuppa di cavoli fumante sulla stufa, qualche bevanda alcolica, delle carpe. Una lombata di vitello arrostita allo spiedo con i rognoni. Vino ungherese. Rape.
Momenti di squisito divertimento ad un nobile ballo durante il quale nel bel mezzo del “cotillon” ci si abbandona a gesti che oggi nulla sarebbero ma che allora risultavano inauditi secondo il pensiero delle signore: dare strattoni alle falde dei ballerini. La dilagante allegria della festa, con visi brillanti di fronte ai candelabri, ai fiori, ai dolci e alle bottiglie, porta uomini, ufficiali e donne ad essere più amabili.
Ad una signora viene servito un piatto di salsa sulla punta di una sciabola sguainata da parte di un colonnello. Alcuni uomini in marsina prendono il posto dei camerieri per servire in prima persona, con dovizia e cortesia, le donne. Si gusta ottimo pesce e carne abbondantemente spalmata di senape. Cosa non fanno la buona tavola e il buon vino.
Mi fermo, non vado oltre. Russia! Russia! Anime morte, servi della gleba, testimoni, funzionari corrotti, proprietari e contadini. Donne paffute dalle guance rosee, staccionate decadenti, fango e carrozzelle. Bevute, mangiate e fumate di pipa. Odore di tabacco, di zuppa, di terra, di vita e di morte. Ricchezza e povertà, storia e fantasia di un tempo tra due secoli memorabili. Acquisti, morti, rubli, scaglie e colla di pesce, kopechi e acqua di Colonia.
Perdonate se per un simpatico vezzo ho trasformato uno dei più grandi autori delle letteratura russa, se ho estrapolato da un romanzo straordinario (probabilmente uno di un’opera ben più ampia non portata a termine dall’autore) soltanto alcuni passaggi ludici gastronomici; ma mi è risultato decisamente piacevole farlo. In una Russia dai sapori meravigliosi e una attenzione al buono sorprendente, tra servi, furfanti e Sciampagna un semplice “commérage” ci sta! Spasiba.