Gli atti risalgono al 1200: “Un atto notarile redatto a Genova nel 1254 testimonia infatti che fin da allora il caseus parmensis (il formaggio di Parma) era noto in una città così lontana dalla sua zona di produzione”
Nei giorni scorsi dal quotidiano economico-economico Financial Times “arriva un attacco surreale ai piatti simbolo della cucina italiana proprio in occasione dell’annuncio della sua candidatura a patrimonio immateriale dell’Umanità all’Unesco“. È quanto afferma la Coldiretti nel commentare un articolo pubblicato nello speciale del quotidiano britannico sulla cucina italiana.
Nell’articolo si mette in discussione alcuni piatti tipici della tradizione alimentare nazionale: dalla carbonara (“È americana”) al panettone fino al tiramisù e al Parmigiano Reggiano (“Il vero è del Wisconsin”). Alberto Grandi, storico dell’alimentazione e docente all’università di Parma cinque anni fa aveva pubblicato il volume Denominazione di origine inventata, da cui è stato tratto un podcast. “Il vero Parmigiano Reggiano si fa nel Wisconsin?” si legge sul quotidiano statunitense.
A quest’ultima affermazione un forte altolà è arrivato dal Consorzio del Parmigiano Reggiano con una nota dove è scritto: “Riteniamo doveroso fare alcune precisazioni in merito alle notizie pubblicate sulla stampa nazionale e internazionale che riguardano il Parmigiano Reggiano. Il Parmigiano Reggiano DOP è uno dei simboli del Made in Italy – è scritto nella nota stampa diffusa dal Consorzio – è un prodotto italiano che tutto il mondo ci invidia ed è nato in Italia. Risalgono al 1200 le prime testimonianze sulla commercializzazione del Parmigiano Reggiano.
Prima testimonianza
Nel XIV secolo le abbazie dei monaci Benedettini e Cistercensi continuano a giocare un ruolo fondamentale nella definizione della tecnica di fabbricazione. Si ha così l’espansione dei commerci in Romagna, Piemonte e Toscana, dai cui porti, soprattutto da Pisa, il formaggio prodotto a Parma e a Reggio raggiunge anche i centri marittimi del mare Mediterraneo.
La testimonianza letteraria più nota è del 1344: Giovanni Boccaccio nel Decamerone descrive la contrada del Bengodi e cita una montagna di “parmigiano grattugiato” su cui venivano fatti rotolare “maccheroni e raviuoli”, dando così un’indicazione dell’uso che se ne poteva fare in cucina. Sicuramente c’è stata un’evoluzione nel corso degli anni. Le forme nel Medioevo erano decisamente più piccole, mentre oggi pesano oltre 40 kg.
Ovviamente nel corso degli anni le tecniche di produzione si sono evolute per essere conformi alle norme igieniche sanitarie che devono rispettare tutti i prodotti alimentari, ma la ricetta è la medesima da mille anni (latte, sale e caglio), così come la tecnica di produzione che ha subito pochi cambiamenti nei secoli, grazie alla scelta di conservare una lavorazione del tutto naturale, senza l’uso di additivi. Una produzione che nel 1996 è stata riconosciuta come Denominazione di Origine Protetta dall’Unione Europea, con un disciplinare rigorosissimo che stabilisce che la lavorazione deve avvenire in un’area estremamente limitata, quella delle province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova a destra del Po e Bologna a sinistra del Reno. In quest’area devono avvenire la produzione di latte, la trasformazione in formaggio, la stagionatura fino all’età minima (12 mesi), il confezionamento e la grattugiatura del Parmigiano Reggiano DOP. Non è possibile fare il Parmigiano Reggiano con latte prodotto fuori da questa zona o proveniente dall’estero.
È stata la stessa Corte di giustizia europea con sentenza del 26/2/2008 a giudicare che il termine “Parmesan” non è generico, ma è un’evocazione del Parmigiano Reggiano, e quindi costituisce violazione della normativa comunitaria in tema di indicazione geografica, nonché una pratica ingannevole nei confronti del consumatore”.