Nel 1945 Eduardo De Filippo scrive la commedia in tre atti Questi Fantasmi ed é diventato leggendario il monologo del caffè dove spiega al suo dirimpettaio i segreti della preparazione della bevanda: é un vero e proprio rito che assume connotazioni quasi liturgiche.
Ma non poteva mancare nella produzione di Eduardo l’omaggio al Principe delle pietanze domenicali nelle case di Napoli e dintorni: ” ‘O RRAU’ “. Gli dedica una poesia, ma diventa addirittura protagonista indiscusso nella commedia del 1959 Sabato, domenica e lunedì che Lina Wertmüller trasforma in film nel 1990.
A questo proposito é da vedere/rivedere la scena della macelleria dove Sofia Loren nei panni di Rosa Priore, elenca tutti i tipi di carne che le occorrono per il ragù, é una lista di circa dieci pezzi.
Con qualcosa in più o in meno, dipendeva dal numero degli ospiti, era lo stesso ragù di mia nonna che doveva sfamare otto figli e un cognato; l’enorme tegame, obbligatoriamente di creta, cominciava a “pippiare” dal sabato sera e riusciva a soddisfare anche le inzuppate di pane permesse solo ai piccoli e a qualche scostumato che non chiedeva il permesso. Solo un’ora prima della fine della cottura mia nonna procedeva con il suo segreto: aggiungeva una scatola di pelati che, secondo lei, bastava a diluire la “catramosità” del sugo.
“Mio padre con il rito del ragù….”
Anni dopo, la domenica mattina, l’erede di mia nonna, mio padre, dava inizio al rito del ragù, l’unica cosa che sapesse fare in cucina, ma i tempi erano cambiati, si parlava già di alleggerire le pietanze, di renderle più digeribili e allora la lunga lista dei vari tipi di carne si limitò alle braciole che, come accennato nel racconto precedente, non sono costate di maiale, ma involtini, un vocabolo che certamente le declassa.
E qui arriviamo alla seconda questione: la prima é stata quella dei broccoli, la seconda é quella della colarda; mio padre usava questo tipo di carne che si presentava come una grande fetta con un centro compatto destinato ad essere arrostito e un contorno di parti semigrasse e frastagliate, a tenere tutto insieme c’era una specie di velo trasparente.
Il mio genitore ritagliava con le forbici il perimetro delle fette, adagiava le parti ottenute su un ripiano sovrapponendole leggermente e raggiunta una certa superficie vi allineava pezzetti di aglio, scaglie di parmigiano, fogliette di prezzemolo, poi una spruzzata di sale e pepe e con zelo e precisione le arrotolava e le legava con uno spago. Il tutto avveniva sotto lo sguardo di noi figli che come chierichetti partecipavamo alla celebrazione della cerimonia e già pregustavamo il sapore di quelle cose che a ora di pranzo si sarebbero trasformate in bocconi succulenti.
E questo avrei voluto ripetere in Lombardia, ma ahimè nelle macellerie la parola “colarda” era incomprensibile ed é rimasta un mistero; oggi la ricerca su Internet dà scamone come sinonimo. Ho provato a fare gli involtini per il ragù con questo taglio di carne che non assomiglia per niente alle fette che usava mio padre e il risultato é sempre stato molto deludente perché asciutto e stopposo: la carne magra non può reggere una lunga cottura.
Suggerimento: meglio i sughetti con tutti gli odori dell’orto della mia amica Alba (Simigliani ovviamente), i suoi pomodori sono a chilometro zero, ma grazie ancora ai trasporti a km 1500 troviamo pomodori di ogni specie in tutti i mesi dell’anno.
Cosa c’é di meglio di un sugo fresco profumato di basilico?
Certo rimane il cosiddetto ragù alla bolognese, quello con la carne trita, ma come dice Eduardo: “M’ ‘a faje dicere na parola? Chesta è carne c’ ‘a pummarola“.
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