“Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi” è un detto antico, ma da più di un anno non è così e sono due le Pasque in cui non possiamo scegliere con chi festeggiare.
Invitiamo allora compagni ideali di mensa e di “Sciusciullett” (scampagnata del lunedì dell’Angelo) per condividere virtualmente un pizzico delle nostre tradizioni e rivolgere a tutti l’augurio di rinascita spirituale, con la speranza di poter tornare presto ad una socialità più piena, con rinnovata consapevolezza.
Ogni luogo ha il suo carattere, ma tutti sono accomunati da riti legati al risveglio della Natura e alla rinascita della vita, tutti aspettano e vivono la festa legata all’equinozio di primavera.
La domenica dopo il primo plenilunio di primavera per noi è Pasqua!
Nell’universo popolare abruzzese la componente agropastorale è ancora molto forte. Riti pagani resistono e si intrecciano con quelli cristiani e continuano nella millenaria stratificazione culturale. Tutto ciò che è legato alla Natura e al ciclo delle stagioni detta il calendario delle feste religiose e dei riti culinari e i sapori della natura vivono più che mai nella ricca e variopinta tavola di Pasqua.
Dopo la Quaresima di digiuni e privazioni arriva la Pasqua di Resurrezione e anche la tavola si veste a festa. Nel periodo quaresimale, a ricordo della “quarantena” di digiuno di Cristo nel deserto, il calendario liturgico prevede una ferrea distinzione fra giorni di grasso e giorni di magro e i ricettari già dal Medioevo privilegiano per i giorni di magro il consumo di pesce.
Anche la tradizione gastronomica abruzzese si allinea ai precetti liturgici. Oggi le prescrizioni circa il digiuno e la “mortificazione della carne” sono molto più blande rispetto al passato, ma il Venerdì Santo si privilegiano le verdure, i legumi, il pesce e il baccalà nelle più diverse declinazioni. Immancabili anche le pizze rustiche e i fiadoni di formaggio, la frittata con gli asparagi, le uova lesse. In questo giorno, forse il più sentito e partecipato della Settimana Santa, inizia il “digiuno” anche delle campane! Il rito religioso della Passione si manifesta nelle lunghe processioni e nelle sacre rappresentazioni della crocifissione e morte di Cristo. Ma quest’anno anche le più celebri e antiche processioni del Cristo morto con i cantori e le suggestive musiche potranno essere vissute solo con il pensiero ed il raccoglimento.
La tavola di Pasqua è ricca, abbondante e varia. L’ agnello è il cibo privilegiato: in ragù per la pasta alla “chitarra”, e come secondo al forno con le patate, alla brace o con “cacio e ove”.
Ma il profumo della festa comincia dall’inizio della Settimana Santa e non è Pasqua in Abruzzo se non si preparano Fiadoni, Cuori, Pupe, Cavalli.
Ricordo ancora il “pellegrinaggio” delle donne con lunghe lastre sulla testa ( in equilibrio e senza mani!) che tanti anni fa portavano a cuocere al forno del paese i loro dolci. C’era un gran fermento dentro e fuori le case, un allegro chiacchiericcio, una simpatica competizione fra le “comari” che nell’attesa controllavano e “sparlavano”, e a seconda del caso invidiavano o criticavano i dolci altrui che arrivavano al forno.
Quando tutto il quartiere era invaso dall’inebriante profumo di zucchero e cannella, limone e vaniglia, cedro e mandorle, canditi e cioccolato, strutto e mostocotto era il momento per noi bambini di correre al forno per l’assaggio di quel pezzetto di pasta ancora calda che fungeva da segno di riconoscimento e che ci veniva concesso in anteprima.
Mia madre disapprovava, ma era troppo impegnata a preparare i “Castelli di Pasqua” per venirci a riprendere. Particolarmente brava e attenta al “decoro” in tutte le sue accezioni, partecipava alla animata competizione anche con agnelli di marzapane sapientemente adornati. La denominazione “Castelli di Pasqua” riferita ai dolci tipici resiste tenacemente, ma risulta difficile comprendere a pieno il significato. Forse nella fantasia popolare dolci così buoni sono cibo cavalleresco e degni delle dame e dei cavalieri dei castelli, oppure il termine castello potrebbe ricollegarsi etimologicamente al germanico wastil , cibo, da cui wastellus, una focaccia consumata nel medioevo in area germanica e portata a noi anche sotto il profilo linguistico, dalle invasioni barbariche, come sostiene Adele Cicchitti ne “Il Pane e la Lingua”. Non so in quanti altri posti si preparano dolci simili, mi piacerebbe saperlo. Credo che nel Sud e nell’area mediterranea ci siano molte affinità, ma alcuni anni fa in un viaggio in Alsazia da una vetrina di un panificio di Colmar mi guardavano pupe e cavalli di pane molto simili ai nostri “castelli”.
Ancora oggi si usa chiamarli così e passando per i vicoli del paese il profumo della festa arriva oltre che dai panifici e dalle pasticcerie, dal forno delle case. Chiaro segno che la civiltà agropastorale ha lasciato e ben radicato i suoi frutti migliori e ci racconta che le tradizioni resistono. Anche quest’anno i bambini potranno avere il loro cavallo, le bambine potranno sfoggiare la loro pupa ricamata e addobbata con un uovo incrociato sul grembo, i fidanzati sentirsi ancora più innamorati con il loro cuore di cioccolato, insieme alle più “moderne” Colombe e alle Uova di cioccolato con la sorpresa.
Ormai sulla mia tavola di Pasqua oltre alle specialità abruzzesi non può mancare la Pastiera, il dolce tipico campano, che mi ha fatto conoscere quasi mezzo secolo fa, la mia amica- sorella Carmela di Salerno e che io ripropongo “abruzzesizzata” a forma di cuore, con suo grande disappunto.