La Corte del Regno Unito sancisce che i conducenti Uber non sono “imprenditori di se stessi” ma lavoratori a pieno titolo ed hanno diritto al salario minimo garantito, alle ferie pagate, alla malattia ed un orario di lavoro.
«Attenzione — fa notare Aldo Bottini, presidente Agi, associazione giuslavoristi italiani in una dichiarazione apparsa oggi sul Corriere della Sera — non si tratta di veri e propri dipendenti come li intendiamo noi ma di una figura di mezzo tra il dipendente e l’autonomo».
Ma quali sono i diritti dei lavoratori delle piattaforme nel nostro Paese?
Nei fatti ci si confronta con situazioni molto diverse. Ci sono gli autonomi a cui è applicato il contratto nazionale firmato da Assodelivery con Ugl ma senza Cgil, Cisl e Uil. Ma ci sono anche i rider dipendenti arruolati fino a ieri da piccole piattaforme ma oggi anche dalla multi-nazionale Just eat.
I rider italiani pronti alla protesta a fine marzo
Intanto i rider italiani — forti del ruolo di interesse pubblico svolto in pandemia — stanno organizzando una mobilitazione nazionale per fine marzo attraverso un’inedita saldatura tra Rider unions e Cgil, Cisl, Uil.
La risposta di Uber alla Corte britannica
Alla Corte britannica arriva la risposta di Uber. Seconda la società la sentenza si applica soltanto a “un gruppo di autisti”, in particolare quelli che utilizzavano la app dal 2016 sul cellulare e nel contempo Uber annuncia che avvierà una “consultazione interna” con i propri guidatori in Gran Bretagna per “capire quali cambiamenti sono necessari”.
Le ultime novità dal mondo dei rider
Intanto dall’Olanda arriva la notizia che i corrieri di Deliveroo sono lavoratori dipendenti mentre l’Austria, Danimarca e Svezia stanno elaborando contratti nazionali collettivi per i rider e la Commissione Europea si prepara a lanciare una consultazione sui lavoratori delle piattaforme.