Gli agricoltori e il ministro Lollobrigida
di Mario Capanna. L’Unità 11 febbraio 2024
L’ineffabile Lollobrigida, che è ministro per le note ragioni, cerca persino di stornare le proteste, inventando la favola che riguardano l’Europa e non il governo italiano. E dimentica bellamente che gran parte degli agricoltori, ormai fuori dall’orbita della filogovernativa Coldiretti, chiede le sue dimissioni per manifesta incapacità.
Dimenticare come zappare la terra e curare il terreno significa dimenticare se stessi.
(Gandhi)
Grande è l’eco suscitata dalle mobilitazioni… trattoristiche degli agricoltori. Persino al festival di Sanremo. Gli applausi dei cittadini al passaggio dei mezzi indicano una significativa condivisione degli obiettivi rivendicati dai lavoratori della terra. Ma la stessa sensibilità non sembra trovare riscontro nelle sedi istituzionali.
Vero è che la presidente Ursula von Der Leyen ha fatto una parziale autocritica circa l’impostazione della politica agricola europea, dato che le parole non costano nulla. A Roma Meloni ha convocato le sigle sindacali, contestate dai trattoristi, elargendo briciole al fine di dividere, con scarso risultato, il movimento degli agricoltori.
L’ineffabile Lollobrigida, che è ministro per le note ragioni, cerca persino di stornare le proteste, inventando la favola che riguardano l’Europa e non il governo italiano. E dimentica bellamente che gran parte degli agricoltori, ormai fuori dall’orbita della filogovernativa Coldiretti, chiede le sue dimissioni per manifesta incapacità.
Il ministro dell’Agricoltura dovrebbe prendere l’unica iniziativa sensata in questo momento: convocare intorno a un tavolo, insieme, gli agricoltori e i rappresentanti della grande distribuzione (da Coop a Esselunga, Conad ecc.).
E dire : “Signori, non si può andare avanti così, qui bisogna darsi una registrata. Tra il prezzo dei prodotti pagati in campo ai coltivatori – dal grano, al latte, alla frutta, agli ortaggi ecc. – e quello della loro vendita finale ci sono, mediamente, ricariche che vanno dal 300 al 450 per cento. La cosa non è sostenibile, né per gli agricoltori né per i consumatori, soprattutto le fasce di reddito medio-basse. Dunque bisogna calmierare i prezzi, ponendo un freno alla speculazione lungo la filiera della trasformazione e della vendita. E consentire un reddito onesto ai coltivatori. Ricordo a tutti che, in economia, l’agricoltura è definita, non a caso, settore primario. E’ la fonte originaria del cibo. Conclusione: il governo proporrà al Parlamento domani stesso una legge, come c’è ad esempio in Spagna, che impedisca di imporre agli agricoltori prezzi inferiori ai costi di produzione. Beninteso: la proposta di legge dovrà essere discussa con priorità veloce. E mi dimetterò, se non venisse approvata”. Accadrà mai un simile miracolo?
Massimo Cacciari su La stampa
Una riflessione di Massimo Cacciari, non sempre condivisibile, ma di grande spessore strategico. Tutto da leggere.
Protesta agricoltori, il 15 febbraio manifestazione al Circo Massimo: “Saremo in 20mila”
Annuncio di “CRA Agricoltori traditi”, l’altro fronte rispetto a Rinascimento Agricolo. Parteciperà anche l’ex leader di Forza Nuova Giuliano Castellino
Giornata di passione a Roma giovedì 15 febbraio. Una delle anime della protesta degli agricoltori, infatti, ha annunciato che per quel giorno, alle 15, ci saranno crca 20mila persone al Circo Massimo e molte decine di trattori. La richiesta è stata depositata alla Questura di Roma per l’autorizzazione.
Agricoltori al Circo Massimo
Dopo il mini-corteo interno alla Capitale di venerdì mattina e quello più corposo, con circa 150 mezzi, sul Raccordo Anulare di venerdì sera, gli agricoltori che da settimane protestano per maggiori tutele della filiera da parte dell’Unione Europea e del Governo, hanno deciso di riunirsi in uno dei luoghi simbolo della città. Saranno il 15 febbraio pomeriggio al Circo Massimo: “E non finisce qui”.
L’annuncio dell’ex forcone Calvani
L’annuncio è arrivato nella giornata di oggi sabato 10 febbraio. Ma non è unitario. La decisione è del movimento “CRA Agricoltori Traditi” capeggiato dall’ex forcone Danilo Calvani, anima diversa da “Rinascimento Agricolo”. “Ci saranno almeno ventimila persone – dice Calvani – un gruppo di nostri trattori partirà in corteo dal presidio di Cecchina e arriveranno nel cuore di Roma, fino a Circo Massimo. Dovrebbero essere una quindicina di mezzi scortati dalle forze dell’ordine”. Calvani poi aggiunge: “Quella di giovedì sarà solo la prima delle nostre manifestazioni. La nostra protesta andrà avanti”.
Aderisce l’ex Forza Nuova Castellino
Al presidio sarà presente anche Giuliano Castellino, ex leader di Forza Nuova, condannato in primo grado per l’assalto alla sede della CGIL del 9 ottobre 2021. “Popolo e agricoltori uniti come non mai – ha scritto in una nota -. Trattori e Tricolori contro Bruxelles e questo governo di venduti. Contro tutti i partiti e tutti i sindacati. Per il lavoro, la libertà e il futuro! Giovedì ore 15 tutti al Circo Massimo!”.
Settimana decisiva delle proteste degli agricoltori. Già partiti i primi mezzi in direzione della Capitale, ma la protesta arriva a Strasburgo. Le posizioni a favore di Mario Capanna, Carlin Petrini, Gian Marco Centinaio, Antonio Onorati
Per la battaglia degli agricoltori da Nord a Sud della Penisola, inizia un weekend di manifestazioni con un’eco mediatica in crescita, dalle tv ai giornali, ai social.
Due i “filoni” delle proteste, la sigla “Riscatto Agricolo” e “Comitati Riuniti Agricoli” con l’ “Obiettivo Roma” che si accingono a raggiungere presto. Danilo Calvani, già leader del Movimento dei “Forconi”, riguardo alla protesta di Roma, ha detto che si uniranno anche “altre categorie”. La vera e proprio mobilitazione inizierà giovedì 8, quando gli agricoltori sfileranno in corteo per le strade della Capitale con l’intenzione di arrivare a Palazzo Chigi. Anche qui staremo a vedere anche se, in effetti, i camionisti si sono già schierati a favore degli agricoltori.
Le ultimissime: i trattori bloccano l’ingresso dell’Eurocamera a Strasburgo e Ursula von der Leyen ritira la direttiva sui pesticidi
La protesta degli agricoltori arriva a Strasburgo. Circa un centinaio di trattori hanno bloccato l’ingresso dell’Eurocamera mentre in aula era in corso il dibattito sulle conclusioni dell’ultimo vertice Ue alla presenza della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. La polizia è intervenuta alzando delle barriere mobili per contenere la protesta. Intanto arriva una prima notizia (molto brutta per chi scrive perchè blocca la strategia del Green Deal, ma ne scriveremo nei prossimi giorni) che vede la presidente della Commissione Ue von der Leyen annunciare il ritiro della direttiva sui pesticidi. Alla notizia esultano le organizzazioni agricole: da Confcooperative a Coldiretti, da Confagricoltura a Cia-Agricoltori. Ma la protesta e la mobilitazione continua e intanto si registrano le posizioni favorevoli, anche se con posizioni molto diverse, che vanno da Mario Capanna a Carlin Petrini fino a Gian Marco Centinaio.
Antonio Onorati Contadino di Associazione Rurale Italiana, membro del Coordinamento europeo di Via Campesina
«Gli agricoltori vanno rispettati, i redditi devono essere più equi». Lo ha detto il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Chi non è d’accordo! Semplice a dirsi. Intanto, però, cominciamo con la giusta ripartizione dei soldi pubblici. Fino a che saranno distribuiti un tanto a ettaro non c’è nessuna possibilità di avere «redditi equi». Fintanto che l’accesso all’uso della terra sarà possibile solo attraverso il mercato «al rialzo», sarà impossibile per un giovane o un nuovo agricoltore entrare nel settore. Se le politiche pubbliche continueranno a sostenere il modello industriale, quello che mette a disposizione dell’industria agroalimentare materie prime a basso costo per rendere competitivo il «made in Italy», allora le risorse andranno a beneficio di chi diventa «competitivo» tagliando la componente del costo di produzione più flessibile: il costo del lavoro.
Malgrado questi e altri puntelli, diventa sempre più fragile il modello agricolo europeo basato sulla liberalizzazione dei mercati, la crescita permanente delle aziende agricole, la speculazione finanziaria sui prezzi delle materie prime alla borsa dei futures a Parigi, sul dominio non solo della grande distribuzione organizzata ma anche dell’industria a monte (pesticidi, concimi, energia e sementi). Tanto che la crisi che attanaglia da sempre le piccole e medie aziende «dei coltivatori diretti» (i contadini, quelli veri non quelli della pubblicità) si abbatte anche sulle aziende agricole industrializzate.
Nelle mobilitazioni quello che conta sono le rivendicazioni e le alleanze. E le rivendicazioni che emergono vanno praticamente – in Italia – tutte nella stessa direzione: «Fateci produrre senza condizionamenti». Che significa niente limiti ai pesticidi, niente imposizione di rotazione, niente condizionalità sociale, niente fatturazione per i contoterzisti… Al contrario le aziende contadine escluse dai fondi della politica agricola comune o dai fondi aggiuntivi del Pnrr ma che hanno avviato la transizione ecologica, sono passate al biologico da trent’anni, hanno inventato i mercati contadini, l’agriturismo, la conservazione della biodiversità, hanno condotto la battaglia per liberare l’agricoltura dagli Ogm (dal 2000), hanno subito l’aumento dello sfruttamento del coltivatore/trice, hanno subito l’aggravio della burocrazia (non si possono pagare il commercialista che gli fa le pratiche e dipendono dai servizi delle grandi organizzazioni professionali), non hanno rappresentanza istituzionale. Le loro proteste contro il consumo di suolo vengono criminalizzate anche se si tratta di difesa dell’uso agricolo della terra, che è un interesse dell’intera società. Le più modeste richieste, come un’audizione al parlamento quando si discute dei nuovi Ogm (Ngt), vengono negate.
Allora, se puoi, sali sul trattore insieme a tutti gli altri, se il tuo non è troppo vecchio per poter circolare su un’autostrada. Anche se gli altri non sono come te, perché difendono un modello agricolo che ti condanna alla sparizione. Lo fai perché cerchi un futuro. Le risposte della politica al momento non vanno certo nella direzione di migliorare il destino dell’agricoltura contadina. Cade la direttiva «pesticidi» già massacrata dal parlamento europeo, la Commissione europea promette l’alleggerimento della burocrazia (con la diminuzione degli obblighi e dei controlli si può immaginare), accontenta alcuni con maggiori controlli su uova, polli e zucchero importati dall’Ucraina (questi prodotti non sono certo il surplus dell’agricoltura contadina), si avvia a cancellare ogni traccia di quello che la destra chiama «la follia ideologica degli ambientalisti».
Peccato che la siccità sia diventata un fenomeno permanente, insieme alle piogge erratiche, e la fertilità dei suoli agricoli stia scomparendo.
Anche se si insiste sul fatto che i nuovi Ogm, insieme all’agricoltura di precisione, potranno risolvere i tanti problemi che già sono arrivati nei campi, la realtà è che al momento ci sono in vendita solo tre prodotti (un pomodoro in Giappone, una lattuga e una mostarda modificata per migliorarne l’aroma negli Usa) che non affrontano nessuno dei problemi legati al cambio climatico. E peccato che l’agricoltura di precisione costi cara. Quanti di quelli che marciano con i trattori si rendono conto della strumentalizzazione di cui sono vittime?- (dal Manifesto del 7 febbraio 2024)
Le ragioni degli agricoltori
Perché gli agricoltori protestano, dalla Germania alla Francia tutte le ragioni della contestazione
Per capire l’importanza del problema, si tenga conto che, in Italia, i lavoratori della terra sono circa 4 milioni, 740 mila le aziende agricole, 70 mila le industrie alimentari e 330 mila le realtà della ristorazione
Dall’agricoltura consegue il profitto più onesto, più stabile, meno sospetto: chi è occupato in quell’attività non nutre pensieri malevoli. (M.P. Catone)
Se la distanza non me lo avesse impedito, l’altro giorno -scrive Capanna- sarei andato anch’io a Bruxelles, con il mio trattore (un favoloso Same 50CV), per unirmi alla vigorosa protesta degli agricoltori presso le sedi comunitarie. Da piccolo coltivatore diretto (il mio campo è più o meno tre ettari) ritengo che le loro ragioni, al fondo, siano giuste.
C’è, in primo luogo, una questione di reddito. Molte aziende agricole sono al lumicino per i costi elevati e i bassi ricavi. I prodotti, in campo, sono pagati un’inezia, a fronte di alti prezzi nella vendita al dettaglio. Esempi: agli allevatori il latte viene pagato 52 centesimi al litro, mentre al supermercato si acquista a 2,30 e persino a 3 euro; un chilo di verdura “vale” 30-40 centesimi, ma viene venduta al consumatore anche a 3 euro.
E poi: gli alti costi dei carburanti e l’obbligo di mantenere incolto il 4 per cento della terra per poter accedere ai contributi comunitari (misura sospesa dall’Ue per il 2024, ma dopo?) e altro.
In sintesi: nella “civiltà” industriale e telematica, e nel vortice di una speculazione galoppante, si è andata perduta una consapevolezza elementare: se il contadino non coltiva, non si mangia.
Ecco perché la mobilitazione degli agricoltori riguarda tutti. E non è un caso che si tratti di una protesta simultanea e generalizzata: cominciata in Germania, ha poi investito l’Italia, la Francia, la Spagna, il Portogallo, il Belgio, l’Olanda, la Grecia. Per capire l’importanza del problema, si tenga conto che, in Italia, i lavoratori della terra sono circa 4 milioni, 740 mila le aziende agricole, 70 mila le industrie alimentari e 330 mila le realtà della ristorazione.
La destra cerca di cavalcare il malcontento. Con episodi anche umoristici. Il ministro Lollobrigida ha incontrato a Verona gli “agricoltori” e ha detto: “L’incontro è andato molto bene”. Si è poi scoperto che gli interlocutori erano di Fdi, e amici del ministro, sconfessati duramente come “un manipolo di opportunisti” dal movimento dei trattori. Sembra quasi il gioco delle tre carte.
Che la destra faccia il suo mestiere è normale.
Non è normale, invece, la latitanza della “sinistra”. Fatta eccezione per una dichiarazione di sostegno agli agricoltori da parte del verde Angelo Bonelli, il Pd non risulta pervenuto, per non parlare dei 5 Stelle. Strano modo, oltretutto, di avvicinarsi alle elezioni europee.
Gli agricoltori devono essere rimessi al centro della filiera agroalimentare.
di Carlin Petrini
Se ci pensiamo, d’altronde, in economia ci si riferisce a questo settore con il termine “primario”. Il nome da sé dovrebbe essere autoesplicativo. Primario è ciò che viene prima di tutto il resto, perchè soddisfa il bisogno primario dell’uomo, l’alimentazione, ma nella realtà sappiamo che non è così. I contadini oggi sono messi sotto pressione da gruppi finanziari che speculano sui prezzi dei beni alimentari come se fossero degli strumenti finanziari, dai giganti dell’agroindustria che controllano gran parte della produzione alimentare (dalle sementi, ai pesticidi e fertilizzanti) e dalla grande distribuzione organizzata che in Italia rappresenta il canale di vendita di quasi il 75% di tutto il cibo e le bevande consumate.
Tutti (proprio tutti) in piazza
In uno scenario di questo tipo il margine di manovra a disposizione dei contadini è praticamente nullo, e i prezzi di vendita spesso non coprono neppure i costi di produzione. Da qui il fatto che, quando vengono tolti i sussidi (come nel caso del gasolio in Germania e Francia) o imposte restrizioni ambientali (ad esempio a livello europeo nella riduzione dell’uso dei pesticidi, o nell’obbligo di mettere a riposo il 4% delle proprie terre agricole) scendano in piazza per la disperazione. E a scendere in piazza sono proprio tutti: gli uni accanto agli altri, vediamo agricoltori che praticano un’agricoltura intensiva, sostenuta nei decenni da milioni di euro provenienti dalla Politica Agricola Comune (Pac), che ha impoverito la terra senza peraltro arricchirli; così come allevatori e contadini virtuosi, sistematicamente abbandonati e ora allo stremo delle forze.
Questa consistenza variegata di partecipanti contribuisce senz’altro ad alimentare la confusione rispetto alle diverse sfumature di motivazioni che alimentano le rivolte. Rimane però un minimo comune denominatore: oggi produrre cibo è economicamente insostenibile.
Quanto costa il nostro cibo?
Questo è in larga parte imputabile al fatto che il sistema liberista ne stabilisce il valore unicamente attraverso il prezzo. Senza i suoi valori culturali, sociali, ambientali e senza la cura e l’orgoglio che meriterebbe, il cibo diventa una merce come un’altra: che deve costare poco. Il cibo a basso prezzo però è un’illusione, non esiste. Il vero costo del cibo alla fine viene pagato da qualche parte. E se non lo paghiamo alla cassa, lo paga l’ambiente, la nostra salute, o gli agricoltori che non hanno i mezzi per pagarsi da vivere.
Con l’obiettivo di garantire ai loro clienti offerte sempre più accattivanti, le catene della grande distribuzione organizzata hanno ridotto all’osso il prezzo pagato ai piccoli produttori (in media i supermercati si intascano il 50% del prezzo finale al consumo, agli agricoltori va meno del 10%), scaricando al contempo su di essi tutti i costi e rischi di produzione. E siccome i clienti dei supermercati siamo noi cittadini, dobbiamo sentirci chiamati in causa nella risoluzione del problema. Dalla fine del secondo dopoguerra viviamo in un mondo in cui l’incidenza della spesa alimentare sulle spesa delle famiglie è in continua discesa. Negli anni ‘60 era quasi il 40%, oggi è sotto al 20%. Eppure ci lamentiamo che il cibo costa troppo, ma allo stesso tempo siamo disposti a spendere centinaia e centinaia di euro per un cellulare, senza metterne per nulla in discussione il prezzo.
È tempo di riordinare la nostra scala di valori. Premiare la Qualità non l’agricoltura intensiva
Di prenderci il tempo di apprezzare il cibo, di sceglierlo consapevolmente locale e di stagione, di non sprecarlo e quando possibile di acquistarlo direttamente dai produttori così da garantire che l’intero prezzo di vendita vada a loro beneficio. Chi invece negli ultimi settant’anni ha speso molto per la produzione di cibo è l’Unione europea, destinando il 30% del budget comunitario alla Pac. Dopo decenni di finanziamenti a pioggia e criteri di erogazione basati sulla quantità (l’80% dei finanziamenti oggi va ancora al 20% degli imprenditori agricoli e premia l’agricoltura intensiva), piuttosto che sulla qualità, è questa la politica europea da riformare completamente e non il Green Deal.
La Pac dovrebbe aiutare in primis chi già produce il nostro cibo seguendo pratiche agroecologiche e supportare tutti gli altri nella transizione verso un modello che consenta la persistenza dell’attività agricola e il ripristino degli ecosistemi. C’è urgenza di un sistema alimentare che protegge le sue fondamenta: la terra e chi la lavora. Carlo Petrini, da La Stampa del 4 febbraio 2024
Su X già Twitter: Gian Marco Centinaio propone di cancellare l’Irpef agricola
Più di 50 gruppi ambientalisti francesi hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui affermano di essere sempre stati alleati degli agricoltori
Quali sono le soluzioni per superare la crisi agricola e garantire un reddito agli agricoltori?
Greenpeace Francia risponde:
Il sistema agroindustriale, sostenuto da politiche ultraliberali, porta ad un’impasse sociale e ambientale e porta all’impoverimento del mondo agricolo. Ogni agricoltore deve poter vivere con dignità del proprio lavoro, in un ambiente sano. Di fronte alla crisi agricola, Greenpeace France propone alcune misure ritiene essenziali per riformare il mondo agricolo e garantire redditi dignitosi agli agricoltori: «La cessazione definitiva dei negoziati sull’accordo di libero scambio Unione Europea-Mercosur, una moratoria su tutti gli altri accordi commerciali in fase di negoziazione e una revisione di tutti gli accordi in vigore, riguardanti la concorrenza sleale generata da questa politica di libero scambio, anche all’interno dell’Ue tra i Paesi membri. Il divieto di vendita dei prodotti agricoli sottocosto e l’istituzione di prezzi garantiti per i prodotti agricoli. Regolamentazione rigorosa dei margini degli intermediari, in particolare della grande distribuzione. Sostegno rafforzato per l’insediamento e il mantenimento di agricoltori biologici o di transizione, sostegno rafforzato per l’allevamento ecologico e i settori vegetali per l’alimentazione umana. Una riforma profonda della Politica Agricola Comune (PAC), per indirizzare il denaro pubblico verso le strutture ecologiche e la transizione, e non verso l’agroindustria e le strutture più inquinanti come avviene attualmente. Oggi su questi punti servono risposte concrete e ambiziose da parte del governo, per una trasformazione del sistema agricolo, e non misure palliative. Lo Stato deve assumersi le proprie responsabilità di fronte alla crisi agricola e ambientale : senza migliorare il reddito degli agricoltori, questi non saranno in grado di guidare la transizione agroecologica.
Per un’agricoltura più sostenibile, di qualità e giusta
«Il governo deve proporre una linea chiara, per andare verso un’agricoltura contadina e agroecologica, sostenuta da numerosi agricoltori in aziende agricole a misura d’uomo, che producono cibo sicuro, diversificato, sostenibile e di qualità che nutra veramente la popolazione e garantisca un reddito dignitoso alle persone che producono»
Il modello intensivo non salverà i trattori
Come è possibile che l’agroalimentare, il settore a cui va circa il 40% del bilancio comunitario europeo, sia in una sofferenza grande? Esplode un malessere che evidentemente ha radici profonde. Emerge una caduta di rappresentatività delle organizzazioni del mondo agricolo che traggono la loro legittimazione non da chi dovrebbero rappresentare ma dal rapporto sempre più intimo con il governo.
L’elemento di fondo è invece la crisi di un modello di rapporto con la terra e di produzione del cibo. Nonostante la massa di aiuti, esso si regge su un equilibrio esilissimo, oggi messo in discussione da diversi elementi. L’assenza di una via di uscita – che non si vede né delineata né perseguita dalle istituzioni e dalla politica – spinge un sottofondo di disperazione nel quale si mischiano elementi giusti di insofferenza con domande di cambiamento, così come elementi corporativi come la richiesta di proseguire quelle politiche che imprigionano i produttori agricoli in un rapporto malato con la terra.
Un fattore immediato di rottura dell’equilibrio è dato dalle guerre e dagli effetti che stanno producendo a largo raggio e sulle linee di traffico delle merci. L’inflazione e il crescere dei costi dell’esposizione finanziaria in un settore dove i piccoli e i medi protagonisti viaggiano sul filo della precarietà. È ben evidente che tutti questi elementi appaiono non di breve periodo. Ma invece di andare alla loro radice con l’impostazione di una rigorosa politica di pace e di sviluppo comune si va verso la loro esasperazione.
Pesa poi la riduzione delle produzioni o comunque l’incremento dei costi derivante dagli effetti già visibilissimi dei cambiamenti climatici sulla coltivazione della terra. Mostra la corda l’idea di una transizione ecologica che non intacca le ragioni di fondo dell’agricoltura e dell’allevamento intensivo; del complesso dell’agrichimica di cui Bayer-Monsanto e glifosato è emblema; delle filiere produttive globali che attraverso la grande distribuzione premono sui produttori locali togliendo loro spazio e futuro; la diffusione dell’agricoltura di precisione e delle applicazioni che si traducono, in assenza di una azione supportata e critica, in un ulteriore grado di deprivazione e impoverimento del ruolo del produttore della terra. È questo modello di produzione di cibo che genera oltre un terzo di emissioni climalteranti. Ed è il peso di questo modello che sta sulle spalle del produttore agricolo: soprattutto del piccolo che spesso non trova ragioni sufficienti di reddito e di funzione per andare avanti. Ci sono poi, ma solo alla fine, gli effetti delle prime misure della «transizione ecologica» il cui simbolo è diventato il taglio dei sussidi sui carburanti agricoli.
La politica agricola comunitaria non è riuscita a immaginare e sostenere un’altra agricoltura. Una radicale conversione ecologica si ottiene anche con il taglio dei sussidi al petrolio (a tutti, però ) ma innanzitutto con politiche attive che accompagnino i produttori agricoli, li sostengano in questo passaggio verso una produzione di cibo ricongiunta con la natura. È il dato macroscopico che emerge da questa conflittualità diffusa e confusa: non si dà transizione ecologica senza ancoraggio sociale forte ed esplicito. Non si dà transizione se non diventa conversione e cioè se non emerge, presente già nella realtà di tantissime esperienze, un nuovo e diverso modello produttivo e di rapporti sociali. Incentrato anche su un rapporto equo con l’Africa, oltre la propaganda. La vera risposta è proprio questa. E con essa si sta cimentando in Campania «Rigenera», l’idea di una legge quadro, con iniziativa popolare, per la conversione ecologica della produzione e distribuzione del cibo. Un passo nella direzione giusta. Gianfranco Nappi sul Manifesto 4 febbraio 2024
Stefano Zuppello Presidente di Verdi Ambiente e Società
Piccolo è bello
“In questi giorni le strade di mezza Europa sono occupate da mezzi che normalmente vediamo sui terreni agricoli, svolgendo quel lavoro per il quale sono stati costruiti. Alla guida di questi mezzi, che comunemente chiamiamo Trattori ci sono uomini, uomini che sono dediti alla coltivazione di terre, quelle terre che da millenni sfamano l’uomo con i loro prodotti.
“Ma perché vediamo questi mezzi fuori del loro ambito naturale?” si chiede il presidente di VAS.
“La risposta –commenta Stefano Zuppello– è complessa come complesso è il mondo dell’agricoltura in Europa e nel mondo, ma non dimentichiamo che il mondo agricolo e la sua continuità ad esistere è direttamente collegato alla presenza dell’uomo sul nostro pianeta.
Questi accadimenti, queste proteste sono la cartina tornasole di una Agricoltura, intendiamo quella industriale, fragile ed impreparata a fronteggiare progetti quali il GREEN DEAL Europeo ma fragile anche nell’organizzare risposte o ad adottare modelli agricoli che invece si dimostrano resistenti e vincenti.
Di cosa parliamo? Parliamo di quella agricoltura e di quegli agricoltori che nel loro “piccolo” portano avanti battaglie e modelli di agricoltura basata sul lavoro, sulla diversificazione delle colture, sul rispetto della terra e contro la sua cementificazione e per una agricoltura sana e biologica.
Certo occorre prestare attenzione a tutte le voci che si sollevano dal mondo contadino e dalle grandi imprese agricole; occorre analizzare nel profondo le storture di un GREEN DEAL che guarda soltanto ad interessi economici estranei al mondo agricolo europeo.
Ma come abbiamo scritto esistono esempi e modelli che possiamo perseguire e battaglie da combattere (OGM, NGT, Dumping Ecologico, grandi trattati commerciali internazionali). E siamo decisamente contrari alla decisione di cambiare la norma sui pesticidi. La nostra proposta di ampliare le competenze dell’EFSA anche alla qualità e alla sostenibilità del cibo vuole anche significare che si deve finirla di finanziare quasi esclusivamente le grandi imprese agricole e l’agricoltura intensiva.
C’è bisogno di costruire una rappresentanza democratica del mondo contadino. La nostra Associazione guarda a questi modelli, a queste “piccole” realtà agricole, che con estrema difficoltà ma anche con successo perseguono modelli di sviluppo compatibile con l’uomo e col nostro pianeta”
I trattori e la Via Campesina
Mentre continuano i blocchi contro le politiche agricole, alla periferia della Capitale si riunisce l’Associazione rurale italiana: c’è un problema di modello, il nemico non sono le misure green
di Marinella Correggia (sul il Manifesto)
Sotto i pini, la statua lignea di un asinello con le ali è il simbolo della cooperativa agricola Coraggio che alla periferia di Roma gestisce terre pubbliche assegnate. Qui è in corso l’assemblea dell’Associazione rurale italiana (Ari), nata nel 2000 e parte del movimento internazionale La Via Campesina. Alla tavola rotonda su «Terra e dignità, conflitti, accesso e alleanze verso il diritto alla terra per la sovranità alimentare» hanno partecipato, insieme a chi coltiva, diversi movimenti che nelle regioni italiane si muovono contro la cementificazione e per un altro modello di produzione e consumo del cibo. Agroecologico ed equo.
E le proteste in corso nelle piazze? Antonio Onorati, di Ari e dell’associazione Crocevia, e Fabrizio Garbarino, presidente di Ari, spiegano: «La rappresentazione della fragilità dell’agricoltura industriale è tutta in queste manifestazioni. Occorre far capire che c’è un modello agricolo che resiste e si adatta meglio, è quello dei piccoli in agroecologia, che si basa sul lavoro, è diversificato, abituato al limite. Siamo stati i primi nel bio, abbiamo inventato un sistema nostro per i semi. E lottiamo per l’accesso alla terra». Non per nulla il Coordinamento europeo di Via Campesina (Ecvc) propone una direttiva europea per l’accesso e il governo delle terre agricole, vista la latitanza delle leggi nazionali. Ari sottolinea la questione dei contributi europei: «Su 1,1 milioni di aziende agricole in Italia, 400.000 ne sono praticamente prive, altre magari arrivano a 3.000 euro l’anno: i soldi di tutti noi sono distribuiti sulla base degli ettari e delle misure». E quanto a queste ultime: «Il denaro per la robotica e l’agricoltura di precisione non può che andare ai grandi. Ma noi dobbiamo e vogliamo far capire a quelli che protestano che devono aprire gli occhi: il modello agricolo industriale è destinato a schiantarsi. È minerario e come le miniere a un certo punto finisce. Meglio cambiare prima.
Spiegano Onorati e Garbarino: «In piazza ci sono anche piccoli e medi agricoltori che sono in un mare di guai. Ma gli hanno fatto credere che i loro guai siano nel Green Deal, nelle misure ambientaliste. In realtà il fatto è che la Farm to Fork avrebbe dovuto essere inserita come obbligo nella Pac».
Certo si contestano anche le misure europee anti-pesticidi «ma con la difesa di quel modello non si andrà da nessuna parte. Produci commodities, più che cibo, sulla base di prezzi e dinamiche imposti dalle Borse. Se non si mette in discussione questo, è inutile lamentarsi per la riduzione nell’uso degli input di sintesi. Non ti salvi lo stesso. La tigre non la puoi cavalcare, ti mangia!».
Sul lato delle rivendicazioni europee che Ari ritiene indispensabili c’è la distribuzione dei contributi sulla base del lavoro e del modello sostenibile, non degli ettari posseduti. Un aggancio possibile con chi protesta senza sentirsi rappresentato dalle tradizionali organizzazioni di categoria («manca ormai una rappresentanza democratica del mondo contadino», ribadiscono all’Ari) può essere la contestazione del dumping ecologico e sociale legato alle importazioni massicce di derrate, magari agevolate? «La Via Campesina è dal 1996 che si oppone all’inserimento dell’agricoltura nell’Organizzazione mondiale del commercio e a svariati accordi di libero scambio. Ha contribuito ad affossare quello Ue-Mercosur. Soprattutto siamo contro la finanziarizzazione, i contratti future sui prodotti agricoli. Va anche detto che non ci si può lamentare per le importazioni quando poi la politica nazionale – con il suo concetto di sovranità che è diverso dal nostro – punta sull’export».
E la questione dei prezzi del carburante agricolo? «È un grande problema soprattutto in Germania. In Italia lo è in particolare per i contoterzisti, con i loro enormi macchinari. Sono ex agricoltori, non più in grado di far sopravvivere la loro azienda, convertitisi a lavorare enormi appezzamenti altrui. Ecco perché, tra l’altro, nelle grandi aziende agroindustriali non ci sono quasi più dipendenti».
Sulla questione del consumo di suolo, Fabrizio Garbarino fa notare: «Ho visto i cartelli: non date le terre al fotovoltaico, lasciatecele coltivare. Siamo d’accordissimo. E questo non significa essere contro le energie rinnovabili, ma dire: riempite prima i tetti di tutti i capannoni, tutto quello che già non è più agricolo». Ari non si vuole opporre ai comuni, «a volte sono alla fame, per mantenere i servizi svendono terreni. È un lavoro insieme quello che dobbiamo fare».
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