«La crisi del latte va affrontata creando un sistema virtuoso di organizzazione dell’offerta. Il costo medio in stalla è salito a 48 centesimi al litro fino a toccare punte di 60 cent/litro in zone svantaggiate, ma il prezzo riconosciuto all’allevatore si ferma attorno ai 39 centesimi»
«Dietro alla produzione regionale di latte e formaggi, sia stagionati che freschi, c’è una filiera produttiva che richiede una specifica organizzazione dell’offerta. Il costo medio in stalla è salito a 48 centesimi al litro fino a toccare punte di 60 cent/litro in zone svantaggiate, ma il prezzo riconosciuto all’allevatore si ferma mediamente attorno ai 39 centesimi». A dirlo è il presidente di Confagricoltura Emilia Romagna, Marcello Bonvicini, mettendo in luce le esigenze delle stalle di bovine da latte che in regione restano fuori dal circuito di produzione della Dop Parmigiano Reggiano.
A rendere il quadro attuale ancora più preoccupante sono infatti i rincari. Il costo dell’alimentazione giornaliera di una bovina da latte (trinciato di mais, erba medica, farine di soia e di mais, paglia, ecc.), ha registrato un balzo da 5 a 7 euro (capo/giorno). Se consideriamo una produzione giornaliera per capo mediamente pari a 31,6 litri, solamente la spesa della razione è aumentata di oltre 5 centesimi al litro.Al calcolo, iva esclusa, bisogna poi aggiungere gli incrementi registrati su altre voci: energia elettrica,gasolio, gas metano; ammortamenti di impianti e macchinari; manodopera; imposte e tasse; remunerazione del capitale e altro ancora.
Il monito di Confagricoltura Emilia Romagna guarda «alla costituzione di un sistema virtuoso di organizzazione dell’offerta che mira a ottenere prezzi alla stalla congrui». Il paradosso, continua il presidente dell’organizzazione agricola, «è che molti allevatori si trovano a fronteggiare la crisi adottando azioni controproducenti (es. riduzione del numero di capi o cambi di alimentazione per limitare i costi), che portano un concreto svantaggio competitivo all’azienda. L’imprenditore, in questo modo, non solo vede vanificare gli investimenti effettuati negli anni precedenti per aumentare la capacità produttiva delle stalle, ma non ha neanche la possibilità di ripianare i debiti».
Nel 2020 la produzione di latte vaccino in Emilia-Romagna si è attestata a 2.230.000 tonnellate (fonte: Rapporto Agroalimentare di Regione e Unioncamere), di cui 1.810.000 tonnellate utilizzate per la trasformazione in formaggio Parmigiano Reggiano quindi soggette ai piani di regolazione dell’offerta stabiliti dal Consorzio. «La situazione è ben diversa, invece, per i produttori di latte destinato ad altri usi, il cui prezzo di riferimento subisce forti oscillazioni – spiega Alfredo Lucchini, vice presidente della sezione lattiero-casearia di Confagricoltura Emilia Romagna e socio dell’OP Agri Piacenza Latte -. Peraltro, l’aggiornamento dei listini da parte dell’industria di trasformazione, o tramite le OP, è talmente frequente da rendere impossibile una pianificazione aziendale di medio-lungo termine».
Conclude così il presidente di Confagricoltura Emilia Romagna: «L’andamento altalenante delle quotazioni si mantiene da tempo su livelli troppo bassi (sotto i 40 cent/litro prendendo la media degli ultimi 7 anni). Si è innalzata una diga tra gli allevatori e il mondo della trasformazione/commercializzazione, che non consente di corrispondere un’adeguata remunerazione alle aziende produttrici, nonostante siano state proprio queste ultime ad apportare le migliorie attese in materia di benessere animale, tracciabilità e gestione dei nitrati, tali da generare effetti positivi lungo tutta la filiera fino al consumatore e contribuendo a migliorare la qualità del prodotto finale».