Stasera ci facciamo pinsa & birra?“
Per noi italiani certe abitudini culinarie sono difficili da cambiare, ma quando entrano in campo tante buone ragioni, anche il nostro abituale e conviviale sabato sera può trasformarsi in “pinsa & birra”.
Eh già, la pinsa strizza l’occhio alla sua cugina partenopea e ne ruba piano piano lo scettro di emblema dell’italianità in tutto il mondo.
Nata in tempi lontanissimi, la pinsa può essere considerata un’antenata della pizza. La sua storia risale all’Antica Roma contadina dove venivano macinate più tipologie di cereale ottenendo una sorta di schiacciata. Da qui il termine pinsa che deriva dal latino Pinsere, cioè allungare o schiacciare. Gli antichi Romani la impiegavano con funzione di vassoio sul quale servivano diverse preparazioni tipiche dell’epoca.
Non sono solo due consonanti a renderla diversa dalla pizza e nemmeno la sua forma tipicamente ovale.A suo favore giocano tanti altri fattori di leggerezza, digeribilità, fragranza, versatilità e numero di calorie.
Per cominciare, il suo impasto prevede una particolare miscela di farine di riso, frumento e soia, la presenza del lievito madre, un elevato apporto di acqua (circa l’80%), l’assenza di grasso animale e l’impiego di una quantità limitata di olio e di sale. Segue una lunga lievitazione di almeno 24 ore che conferisce alla pinsa una croccantezza esterna che si bilancia armoniosamente con la morbidezza del suo interno.
Il risultato è una preparazione del 30% più leggera e meno calorica della classica pizza (Solo 180 Kcal per 100g di pinsa contro le 250 kcal per 100g di pizza).