Il mondo è bello perché è mario #5
Consumare un pasto secondo me è la cerimonia liturgica di una qualche religione ancestrale che ci riunisce tutti, uomini e donne di ogni angolo del mondo e di tutte le epoche, all’interno di un solo momento, un solo banchetto magico/sociale senza tempo.
Venendo al nostro settore: l’esperienza in un ristorante sicuramente è in grado di saldare la clientela con i camerieri, la sala con la cucina, la cucina con la proprietà e questa con tutta la filiera di produttori che, così, incontrano il pubblico. Chiudendo il cerchio. È come una gigantesca ammucchiata (sperando in una bella performance, ça va sans dire).
A noi cronisti gastronomici (come dicono i boomer) o food and travel blogger (come dicono i millennial) spetta il compito di far sì che il cerchio non si interrompa, anzi, che si allarghi sempre più. Si, noi (apparentemente l’anello debole – se non addirittura inutile – della catena) tocca quello che è non è un vero e proprio lavoro, ma una vera e propria missione. Di cosa parlo? Forse faccio prima a spiegarvelo con qualche aneddoto.
Pellegrino Artusi salvò il gusto primordiale “italiano”, ovvero il bagaglio gusto-olfattivo-antropologico delle nostre cascine, delle nostre masserie, dei borghi e delle contrade, dei palazzi nobiliari e delle locande, allo stesso modo in cui il Manzoni salvò e nobilitò la lingua che avrebbe rappresentato l’Italia (appena unita) risciacquando i panni in Arno. Artusi come e più di Alessandro Manzoni, utilizzando il fiorentino volgare da un lato e il cibo dall’altro, seppe incollare i brandelli di una nazione, anzi di un popolo, diviso e diversificato da secoli e secoli di fratture. Tutte quelle divisioni, differenze e competizioni, paradossalmente, diventarono (e sono tutt’oggi) la nostra ricchezza.
Bene, qualche tempo fa io ed il mio collega di trasferte gastronomiche ci siamo ritrovati senza un motivo apparente nella piazzetta di una cittadina di provincia, di quelle ai confini dell’impero. Eravamo sui tetti di una torre splendida ma un po’ scalcinata ed avevamo l’opportunità di perdere la vista e l’immaginazione nel contemplare la vita cittadina che si spandeva sotto di noi, con il suo vociare, i suoi odori e le sue storie infinite che vanno ad intrecciarsi e scombinarsi come rigagnoli d’un fiume. Un po’ più in là v’erano distese verde-argenteo, gli uliveti sterminati che abbracciavano il paese, e ancor più in là, la macchia mediterranea che piano piano diradava fino a giungere al mare, il quale, ormai sfocatissimo, si scioglieva all’orizzonte.
Ci veniva da sorridere ed allo stesso tempo piangere dalla bellezza del momento surreale, capitato del tutto casualmente. Perché ci trovavamo sul tetto di quella torre X in un giorno Y? Anche se avessimo voluto ricostruire tutto il complesso di cose che ci aveva portati lì, non ci saremmo mai riusciti. Le giornate a volte sono scontrose (semi citaz.), alle volte gli eventi che succedono nel quotidiano d’un essere umano lo sono, ma alle volte no, è l’opposto. E si è così ebbri di vita e bellezza da perdere i sensi. A muovere le nostre gambe, probabilmente, come sempre, non era stato solo il cibo in sé, ma il piacere della scoperta e la volontà di inglobare nuovi ricordi da raccontare.
È questo il bello del nostro girovagare mangereccio: con la scusante del cibo entriamo immediatamente in contatto con persone, usi, fatti incredibili che altrimenti non basterebbero 10 vite. Se intercettare queste storie è un onore, raccontarle, preservandole dall’incuria del tempo, è una missione.
Se tutte quelle storie, in qualche modo, finiscono dentro un piatto, all’interno di un ristorante, una trattoria, nel bar di un benzinaio o nell’area picnic di un lido, meglio ancora: sarà un vero piacere poterle assaggiare, intercettare, descrivere, promuovere.
Il mondo è bello perché è Mario #4
Avete autorevoli ospiti del “mondo food” da moderare su di un palco? Siete i relatori di un talk enogastronomico? In che maniera pensate di condurre la chiacchierata tra gastro-vip senza far addormentare il pubblico, senza deludere gli sponsor e provando (persino) a convincere gli organizzatori che han fatto bene a puntare su di voi?
Eh, brutta gatta da pelare, amici miei. (Leggere su Gustoh24)