Un incontro pubblico martedì 16 maggio a Parma
Pubblichiamo una nota della segreteria di Parma di “Città Pubblica” e alcuni commenti, nostri, di Vittorio Agnoletto e di Ivan Cavicchi.
Che cosa resta del nostro Sistema Sanitario Nazionale? I tagli passati e futuri consentiranno di garantire il diritto allo salute sancito dalla nostra Costituzione?
Anche la nostra regione, da sempre ritenuta un’eccellenza in materia, si trova a vivere una situazione assai delicata, con un pesante debito da sanare, una medicina territoriale in affanno e liste d’attesa interminabili per esami e visite specialistiche.
Roberta Roberti e Maria Cristina Cimicchi di Parma Città Pubblica ne discuteranno martedì 16 maggio alle ore 18, presso la Sala dell’Assistenza Pubblica di via Gorizia a Parma, con tre ospiti di rilievo:
le Segretarie Confederali regionale e provinciale della Cgil Marina Balestrieri e Lisa Gattini, che ci aiuteranno a delineare la situazione della sanità nel nostro territorio e a comprendere come le condizioni lavorative di chi opera nel settore siano strettamente connesse con la garanzia di equità nell’accesso alle cure;
Ivan Cavicchi, docente presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Tor Vergata di Roma, esperto di organizzazione dei sistemi sanitari, che ci aiuterà a comprendere quali prospettive abbiamo in un’epoca di privatizzazioni e di autonomia regionale differenziata e quali strade siano praticabili ed urgenti per salvaguardare il diritto alla salute.
Seguirà dibattito con il pubblico.
La speranza è come l’acqua NON MUORE MAI
In ricordo di Francesco Santanera, difensore dei diritti dei più deboli. Leggere tutto su Gustoh24 QUI
L’art.32 della Costituzione stabilisce che la tutela della salute è un diritto di ogni individuo e lo Stato ha il dovere di trasformare tale principio in un diritto realmente usufruibile, come recita l’articolo 3 della nostra Magna Charta: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…
Ecco perchè il Servizio Sanitario Nazionale deve occuparsi di prevenzione anche se questa non produce profitti immediati. La prevenzione, la cura e la riabilitazione sono tutte funzioni fondamentali della sanità pubblica e l’accesso universalistico è l’unico che garantisce che la salute sia un bene anziché una fonte di profitto (per alcuni)
La salute è oggi e rimarrà nel prossimo futuro, uno e forse il principale, dei terreni di scontro tra il neoliberismo con la sua logica del profitto e la difesa della vita di ogni essere umano. Un Servizio Sanitario Nazionale, universale, fondato sulla fiscalità generale è un bene comune da difendere, ma anche da riconquistare, con tutte le nostre forze.
Purtroppo la sanità non è all’ordine del giorno di nessuna forza politica. Nessuno pensa a mobilitare i cittadini e a scendere in piazza per sollecitare un cambio di passo.
Eppure la privatizzazione della sanità non si manifesta solo nel moltiplicarsi delle aziende private che vengono accreditate nel SSN, ma investe direttamente le strutture pubbliche. Nel 2021 vi sono state oltre 4,2 milioni di visite a pagamento negli ospedali pubblici attraverso il meccanismo dell’intramoenia.
Da non dimenticare che il meccanismo dell’ intramoenia introdotta da Rosy Bindi, Ministro della Sanità dal 1996 al 2000 era nata per abbattere le liste d’attesa oggi, nonostante il fallimento, nessuno pensa a cambiarlo.
Le liste d’attesa non sono inevitabili; sono funzionali al trasferimento dell’attività sanitaria dal pubblico al privato, e questo obiettivo viene praticato senza pudore in modo esplicito, con la certezza dell’indifferenza, se non della compiacenza, di quelle istituzioni che dovrebbero controllare le strutture private da loro accreditate.
Su questo aspetto Vittorio Agnoletto ha scritto che “Nella sanità pubblico e privato perseguono obiettivi non solo differenti, ma tra loro contrapposti. Più malati e malattie vi sono, più il privato guadagna; più si sviluppa prevenzione, tutela dell’ambiente e diagnosi precoce meno malati e malattie vi sono, più le casse pubbliche (cioè noi tutti) risparmiano. Quando chi gestisce la sanità pubblica assume come obiettivi gli stessi della sanità privata e ne condivide le priorità e le scelte il gioco è fatto ed il cittadino è mazziato. Il diritto lascia spazio al portafoglio”.
Uno scritto di Ivan Cavicchi sul Manifesto
Nel Def il governo Meloni ha previsto pochi spiccioli (3 miliardi) per ridurre i contributi sociali a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi, ignorando i drammi di cui proprio i bassi redditi sono vittima a cominciare dalla salute. Molto semplicemente, è stato calcolato che in media un cittadino malato per curarsi dal cancro spende oltre 1.800 euro all’anno di tasca propria per esami, visite e terapie e per pagarsi eventualmente alloggio e viaggio se dovesse essere costretto a curarsi fuori dalla sua regione (Fonte Favo). E che cosa ci fa il malato di cancro con i quattro spiccioli che Meloni ricava dalla riduzione del cuneo fiscale? O un qualsiasi altro cittadino con un reddito basso colpito da una qualsiasi malattia? Con la sanità pubblica sempre più definanziata, i soldi del cuneo fiscale non bastano neanche per fare una banale visita medica.
Se il governo volesse davvero aiutare i redditi medio bassi, cuneo fiscale a parte, dovrebbe garantire una sanità pubblica gratis e universale.
Solo l’anno scorso oltre 4 milioni di italiani, cioè il 7% della popolazione ha rinunciato a curarsi, pur avendo teoricamente un servizio pubblico, proprio perché non aveva con che pagarsi l’assistenza privata.
A parte qualche briciola al fondo sanitario previsto dal Def per il prossimo anno, il governo Meloni conferma i tagli lineari alla sanità, già programmati. Così come conferma i tetti alle assunzioni e gli sgravi fiscali alla sanità privata, quindi in sostanza conferma la sua intenzione politica di costringere le persone non abbienti o a non curarsi o a indebitarsi, se pure possono farlo, per ottenere le cure ma nel privato. E sappiamo che la spesa sanitaria è destinata a scendere: dal 7.1% del Pil al 6,7% mentre la media Ocse è il 12%.
Forse a questo punto è necessario riflettere, e il sindacato dovrebbe fare la sua parte, sulla funzione del welfare, in questo caso relativo alla sanità pubblica, nel distribuire il reddito nel nostro paese e nel distribuire soprattutto le diseguaglianze cioè gli svantaggi e i vantaggi sociali.
Pochi giorni fa uno studio di Mediobanca ci ha informati che i ricavi della sanità privata in particolare quelli della grossa ospedalità (S. Donato, S. Raffaele, Gruppo villa Maria, Segesta, fondazione policlinico Gemelli ecc) hanno superato alla fine del 2022 i 9Mld e sono in continua crescita. Ma tutti questi soldi da dove vengono? Di sicuro non dai redditi medio bassi ma da quei redditi che si possono comprare le cure, anche con il welfare aziendale, ricorrendo a tutele privare aggiuntive. La Ragioneria dello Stato ci ha detto che nel 2021 la spesa sanitaria complessivamente è stata quasi 164 miliardi di euro, di cui oltre 37 spesi per prestazioni out of pocket (Oope) cioè prestazioni comprate direttamente dal privato di tasca propria
Tutti gli studi sull’Oope confermano che i redditi privati ormai compensano le carenze e le inefficienze nelle offerte sanitarie pubbliche e che il loro aumento costante è legato alle patologie più frequenti, patologie che diventano, in questo modo, indicatori della scarsa qualità delle cure ricevute nel pubblico e della scarsa equità del sistema pubblico. Cioè indicatori del basso grado di pubblicità del servizio pubblico.
Ma come potrebbe la sanità pubblica essere di qualità per tutti se il governo non la finanzia e nello stesso tempo incentiva fiscalmente il privato? Quindi è indiscutibile che le politiche sanitarie di questo governo della destra asociale contribuiscono di fatto a determinare l’effettiva diseguaglianza, come è indiscutibile che alla fine esso svolge, proprio attraverso la sanità, una azione distributiva del reddito prodotto nel nostro paese.
Per questo non basta più dire che Meloni non tiene in nessun conto la sanità pubblica, per il semplice fatto che in realtà Meloni usa la sanità per il cinico gioco di dare e togliere e per praticare una precisa distribuzione del reddito all’insegna dell’iniquità. La misura relativa al cuneo fiscale, in generale un segnale positivo, è tuttavia palesemente solo una foglia di fico per nascondere l’indecenza di politiche apertamente contro i diritti e apertamente a favore dei più forti.