Nei territori dei 5.538 piccoli comuni si produce infatti ben il 92 per cento dei prodotti di origine protetta (DOP, Denominazione di Origine Protetta e IGP, Indicazione di Origine Protetta)
Il 92% delle produzioni tipiche nazionali che si consumano soprattutto a Natale nasce nei comuni italiani con meno di cinquemila abitanti. È quanto emerge dallo studio Coldiretti/Symbola su “Piccoli comuni e tipicità”. Il rapporto vuole raccontare un patrimonio enogastronomico del Paese custodito fuori dai tradizionali circuiti turistici, valorizzato e promosso grazie alla legge n.158/17, a prima firma Realacci, con misure per la valorizzazione dei Piccoli Comuni.
Nei territori dei 5.538 piccoli comuni con al massimo 5.000 abitanti, in cui vivono quasi 10 milioni di italiani, si produce infatti ben il 92 per cento dei prodotti di origine protetta (DOP, Denominazione di Origine Protetta e IGP, Indicazione di Origine Protetta) e il 79 per cento dei vini italiani più pregiati. Questo rapporto di Coldiretti-Fondazione Symbola “Piccoli Comuni e Tipicità” ci restituisce il quadro aggiornato per ogni regione di questa dimensione produttiva estesa e radicata che traduce in valore la diversità culturale.
Un sistema virtuoso che rappresenta ben il 70,1% dei 7901 comuni italiani e in cui vivono poco più di 10 milioni persone, secondo l’analisi di Fondazione Symbola e Coldiretti.
Il Piemonte è la regione con il maggior numero di Piccoli Comuni (1.045) seguito dalla Lombardia (1.038) e dalla Campania (345). Ben 296 di 320 prodotti a denominazione di origine (Dop/Igp) italiani riconosciuti dall’Unione Europea hanno a che fare con i Piccoli Comuni che, nel dettaglio, garantiscono la produzione di tutti i 54 formaggi a denominazione, del 98% dei 46 olii extravergini di oliva, del 90% dei 41 salumi e dei prodotti a base di carne, dell’89% dei 111 ortofrutticoli e cereali e dell’85% dei 13 prodotti della panetteria e della pasticceria. Ma grazie ai piccoli centri è garantito anche il 79 per cento dei vini più pregiati che rappresentano il Made in Italy nel mondo. Un patrimonio conservato nel tempo dalle 279 mila imprese agricole presenti nei piccoli Comuni con un impegno quotidiano per assicurare la salvaguardia delle colture agricole storiche, la tutela del territorio dal dissesto idrogeologico e il mantenimento delle tradizioni alimentari. Ci sono 26 prodotti che si realizzano esclusivamente in piccoli comuni: Formai de Mut dell’ Alta Valle Brembana, Strachitunt, Castelmagno, Robiola di Roccaverano, Puzzone di Moena/Spretz Tzaorì, Pecorino di Picinisco Alto Crotonese, Seggiano, Fagioli Bianchi di Rotonda, Melanzana Rossa di Rotonda, Castagna di Vallerano, Fagiolo Cannellino di Atina, Farro di Monteleone di Spoleto, il Limone di Rocca Imperiale, il Marrone di Castel del Rio, Asparago di Cantello, Pescabivona, Lenticchia di Castelluccio di Norcia, i Maccheroncini di Campofilone, il Salame di Varzi, il Prosciutto di Carpegna, Valle d’Aosta Jambon de Bosses, Valle d’Aosta Lard d’Arnad/Vallée d’Aoste Lard d’Arnad, il Prosciutto di Sauris, il Salame S. Angelo, il Prosciutto di Norcia.
“Le feste natalizie sono una straordinaria occasione per riscoprire i nostri prodotti tipici legati ai territori e ai piccoli comuni. I Piccoli Comuni – dichiara Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola – sono una straordinaria opportunità per l’Italia: un’economia più a misura d’uomo che punta su comunità e territori, sull’intreccio fra tradizione e innovazione, fra vecchi e nuovi saperi come dimostra il rapporto di Fondazione Symbola e Coldiretti. Qui si producono la maggior parte delle nostre Dop e Igp e dei nostri vini più pregiati, insieme a tanta parte di quel made in Italy apprezzato a livello internazionale. Possiamo competere in un mondo globalizzato se innoviamo senza cancellare la nostra identità, se l’Italia fa l’Italia. I piccoli comuni possono svolgere un ruolo importante nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) a patto di guardare l’Italia attraverso le lenti della coesione, dell’inclusione, della transizione verde, dell’innovazione e del digitale. Per questo è ancora più urgente dare piena applicazione alla legge, a mio nome, sulla valorizzazione dei piccoli comuni. Una legge di cui il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, aveva capito il valore quando salutò la campagna “Voler bene all’Italia” affermando che “scommettere sui piccoli comuni, investire su questi luoghi da parte di giovani imprenditori, grazie allo sviluppo dell’informatica e delle nuove tecnologie, può diventare una grande avventura da cogliere”. L’Italia può affrontare le crisi puntando sulla propria identità. Può competere e affermarsi senza perdere la propria anima. Cultura, bellezza e creatività sono le chiavi con cui scommettere per mantenere e rafforzare i primati internazionali che può vantare il nostro Paese”.
“I piccoli borghi hanno un valore economico, storico, culturale ed ambientale in un paesaggio fortemente segnato dalle produzioni agricole, dalle colline pettinate dai vigneti agli ulivi secolari, dai casali in pianura alle malghe di montagna, dai verdi pascoli ai terrazzamenti fioriti – spiega il presidente della Coldiretti Ettore Prandini-. Un motore anche dal punto di vista turistico che, se adeguatamente valorizzato, può diventare una risorsa strategica per il rilancio economico e occupazionale del Paese. Basti ricordare che nell’estate 2023 quasi tre italiani su quattro tra coloro che sono andati in vacanza hanno deciso di visitare uno dei circa 5500 piccoli borghi presenti in Italia, a caccia di tesori nascosti ma anche per risparmiare qualcosa sfruttando le mete meno battute dal turismo di massa. A garantire l’ospitalità nei piccoli centri è peraltro una rete composta dalle 25.400 aziende agrituristiche italiane, che sono in grado di offrire un potenziale di più di 294mila posti letto e 532 mila coperti per il ristoro secondo Terranostra e Campagna Amica. Per salvaguardare una ricchezza del Paese vanno però poste le condizioni per la permanenza della presenza della popolazione residente e delle attività economiche in una situazione dove nel giro di un anno si è registrato l’addio di oltre 35mila residenti nei borghi, secondo gli ultimi dati Istat sulla popolazione italiana. Va dunque contrastato lo spopolamento che acuisce anche la situazione di solitudine delle aziende agricole, aumentando la tendenza allo smantellamento non solo dei servizi ma anche dei presidi e delle forze di sicurezza presenti sul territorio”.