L’ultima volta che raggiunsi la Val Tiberina Toscana fu un viaggio interessantissimo in cui ebbi la possibilità di miscelare bene cultura, territorio e sapori.

Città storiche come Sansepolcro e Anghiari e prodotti come i salumi di Cinta Senese e la cipolla rossa della valle.

A farmi da Cicerone, per buona parte del mio viaggio in terra Aretina, fu Lucrezia Lorini una giovane e preparata signorina dell’ufficio turistico comprensoriale, una cooperativa che lavora per la ricezione turistica sul territorio. Iniziai da Sansepolcro, città con circa 16 mila abitanti, dove Lucrezia ebbe il buon cuore di erudirmi su alcune peculiarità storiche del luogo. Per esempio mi raccontò che il nome Sansepolcro deriva dal Santo Sepolcro in quanto nel 1012 due pellegrini, Arcano ed Egidio, di ritorno dalla Terra Santa individuarono nell’attuale città il luogo dove far sorgere un importante centro religioso e culturale. Nel 2012 sono stati celebrati i mille anni di nascita della Cattedrale e della Città: Sansepolcro appunto.

Piero della Francesca

Molti i luoghi di interesse come Palazzo delle Laudi sede del Comune e poi il Museo Civico, che ospita 4 capolavori di Piero della Francesca (morto a Sansepolcro 12 ottobre del 1492) e il Museo di Aboca, famosa azienda che produce prodotti di erboristeria. Mi venne anche spiegato che parliamo di Val Tiberina Toscana in quanto la Valle geograficamente sconfina in parte anche nella regione Umbria.

Dai dipinti del Piero della Francesca all’olio extra vergine di oliva.

Raggiunsi un antico uliveto a 330 metri di altezza nella frazione Motina del Comune di Anghiari, in località Faggeto, dove incontrai per parlare proprio di olive e di olio evo il sig. Giuseppe Acquisti. La cultivar più diffusa che trovai fu la Morcone una varietà molto presente nella zona di Bolgheri nel livornese; piante secolari con ampi ceppi radicali e le chiome poco sviluppate.

La zona che raggiunsi non è il sud Italia e le temperature invernali sono al quanto basse, non di rado capitano le gelate che obbligano la piante a ripartire dai polloni, motivo per cui tutti alberi a più fusti.

L’altezza poi porta ad essere ai limiti per la coltivazione dell’olivo su terre che sono adiacenti agli Appennini. Giuseppe mi mostrò anche un piccolo frantoio continuo dove si spremono sia le sue olive che quelle di qualche buon vicino di casa. L’olio che ne ottiene è delicato e a bassa acidità.

Lasciai Giuseppe e gli ulivi ma restai in famiglia perché con piacere scoprii che Leda, la figlia, realizzava artigianalmente ottime squisitezze da forno: perché non assaggiarle allora?

Erano tutti prodotti nati dall’idea di usare soprattutto la farina ottenuta dal loro grano coltivato e macinato a pietra e l’olio aziendale, il tutto con lievito madre. Ed ecco così un carosello di forme, colori, profumi e aromi. I salati: crescenti al rosmarino, cipollotti con cipolla rossa della Val Tiberina, specie di taralli con mandorle. Rosmarino, cipolle e mandorle del giardino e orto di casa. Poi i dolci: i biscotti delle tre tazze (una di olio, una di zucchero e una di vino bianco: le dosi per la preparazione) e un altro tipo fatti con vin santo e la parte integrale della farina. Buoni, veramente buoni.

Mi spostai per raggiungere un’altra meta del mio viaggio: Caprese Michelangelo, un piccolo comune con poco più di 1600 abitanti. Lo raggiunsi per incontrare Gianpaolo e Gabriele Bigiarini, papà e figliolo, e per trovare ancora i maiali di Cinta Senese e i loro derivati frutto della norcineria locale. Con papà Gianpaolo mi recai dai capi di bestiame trovando sia animali di Cinta che di razza Grigio. La Cinta si sa è una razza storica di queste terre, se ne hanno notizie secolari; ha sempre vissuto allo stato brado e si è rischiata l’estinzione. Per fortuna riscoperta e riapprezzata in tutti i sensi ha ripreso vita e rilevanza, la si alleva sempre allo stato semi brado, in ampi spazi, dove può essere il più possibile libera. Pensate che un tempo dalle parti di Caprese i maiali erano abituati a pascolare nei castagneti dove ancora oggi si raccoglie il Marrone di Caprese Michelangelo DOP. Lo facevano a fine raccolta, dopo la castagnatura, alimentandosi di frutti genuini e gratuiti e tenendo pulito il sottobosco. Le carni della Cinta sono molto saporite, più grasse rispetto ad altre razze, ottime proprio per la lavorazione degli insaccati e per le ricette della cucina tipica.

Il Grigio invece è un incrocio tra la Cinta Senese e la Large White una razza molto diffusa nel nostro paese: carni un pochino meno grasse.

Lasciai Gianpaolo all’allevamento e andai presso l’agriturismo di famiglia dove trovai ad attendermi Gabriele e i loro salumi di Cinta. Un prosciutto da urlo stagionato ben 3 anni e da affettare rigorosamente al coltello come vuole la tradizione più sanguigna, più verace. Poi il salame, il capocollo e il lardo, tutto prodotto utilizzando solo sale e pepe senza additivi o conservanti: arte della norcineria e un ambiente particolare per la stagionatura. E’ con il tempo che si concentrano al meglio i sapori della Cinta con quel giusto mix tra le carni magre e il grasso. I Bigiarini producono cereali, olio, salumi e offrono in un borgo antico medievale ristrutturato, in località San Polo, la possibilità di soggiornare.

Nota storica del posto: nel 1913 Caprese ha preso il nome di Michelangelo a ricordo di Michelangelo Buonarroti nato qui il 6 marzo 1475 e morto il 18 febbraio 1564 a Roma.

Come spesso accade durante i miei viaggi di lavoro non disdegno di raggiungere qualche chef per seguire la preparazione di una o più ricette. Anche in quella occasione rispettai le mie tradizioni di buon curioso e goloso. Arrivai così il località Cerreto, Anghiari, alla Locanda del Viandante, dalla Piera dove un giovane cuoco, Nicola Brunetto, che mi preparò una lasagnetta moderna. Una lasagna preparata singolarmente, porzione per porzione, con la classica besciamella e funghi porcini e con la sfoglia di pasta di farro tirata a mano e impastata con il solo bianco d’uovo, senza tuorlo per renderla più leggera. Un piatto piacevole che Nicola abbinò ad un Vermentino del territorio.

Dalla cucina al cuore di Anghiari. Ritrovai Lucrezia Lorini che mi aspettò nel Borgo Vecchio, ancora oggi abitato, per illustrami questa bella città aretina. Partimmo dalla piazza Baldacci, attraversammo la via Garibaldi e arrivammo in piazza Mameli dove mi furono indicati i due Musei: il Museo Statale di Palazzo Taglieschi e il Palazzo della Battaglia di cui tra breve vi parlerò.  Le vie e i vicoli, i palazzi e le case storiche, ma anche i luoghi di culto come la chiesa di Sant’Agostino, da poco restaurata, e l’Abbazia di San Bartolomeo che gli Anghiaresi chiamano la Badia. Poi i particolari: il Marzocco, il leone simbolo per i fiorentini di potere popolare e copia di quello di posto a Firenze, e un antico pozzo trecentesco al quale vi si accede sia dalla via di Ronda che dalla piazza Mameli. A ruota visitai il Bastione, anch’esso da poco restaurato, che al suo tempo ebbe più valenze; difesa, granaio e ghiacciaia allora detta “ghicciaia”.  Non lontano i giardini del Vicario datati 1500 circa e progettati da Girolamo Magi. Completai il tour con la statua di Giuseppe Garibaldi che, essendo stata acquistata di seconda mano indica simpaticamente Roma dalla parte contraria. Lasciata definitivamente la gentile Lucrezia tornai al Palazzo della Battaglia al cui interno è allestito il museo della celebre disfida.

Mi ricevette, di fronte ad un meraviglioso plastico commemorativo, un preparatissimo direttore: Gabriele Mazzi. Fu lui a spiegarmi che la Battaglia si svolse il 29 giugno del 1440 e fu di notevole importanza per Firenze che divenne definitivamente proprietaria dei territori in questione. Avendo già Anghiari e vincendo la Battaglia allargò i suoi possedimenti fino a Sansepolcro. Nicolò Machiavelli la definì la “Battaglia del sol morto” ma purtroppo non fu così perché ci furono morti e feriti tra i due schieramenti: i fiorentini alleati con il Papa da una parte e le truppe milanesi di Filippo Maria Visconti comandate da Niccolò Piccinino dall’altra.

Il museo in verità racconta la storia di Anghiari partendo dalla preistoria per arrivare al 1700; molti i reperti di Litica Preistorica e le armi da fuoco di fabbricazione locale di buona qualità proprio del XVIII secolo. Da visitare.

Anghiari fu luogo di meta, di passaggio, di lavoro, natio di grandi personaggi: Michelangelo, Piero della Francesca, Luca Pacioli, l’inventore della partita doppia, per la gioia dei ragionieri, Leonardo da Vinci che dipinse la Battaglia di Anghiari, San Francesco d’Assisi per una nota più spirituale.

La Val Tiberina prende il suo nome dal fiume Tevere che nasce sul monte Fumaiolo, in Romagna a 1200 metri di altezza circa, solca la Valle ed evidenzia un percorso che un tempo era una importantissima via di collegamento tra il nord e il sud.

Per completare il viaggio in Valle raggiunsi un punto vendita di prodotti locali appartenete alla Strada dei Sapori della Val Tiberina. Vi trovai all’interno Leonardo Lotti con il quale ebbi un ultimo sussulto di piacevolezza per il palato.

Le paste, le farine, la cipolla rossa, il caffè d’orzo, i tartufi, l’olio, i pecorini e i caprini, le marmellate e i mieli, il lombo sott’olio tipico Tiberino e un salame di carne bovina di razza Chianina.

In poche parole di tutto di più.

Un’altra bella storia, un altro viaggio meraviglioso, un altro motivo di buon gusto e grande cultura: un’altra avventura italiana.